"rascel

«Io prendo manciate di parole e le lancio in aria; sembrano coriandoli, ma alla fine vanno a posto come le tessere di un mosaico».
(Renato Rascel)

giovedì 11 aprile 2013

Quando si è poveri?

E' da questa mattina che mi pongo questa domanda a cui non riesco a dare una risposta che vada bene, cioè da quando ho letto la poesia di Neruda "La povertà" che riporto  alla fine del testo.
Vivendo in un periodo in cui si parla molto  di recessione globale e di povertà sempre più dilagante, mi sono resa conto di aver sinceramente perduto il senso ed il significato di questa atavica situazione.
La povertà, sì che la conosco. Per fortuna indirettamente. L'ho vista furoreggiare con la grande indigenza in cui si era tutti nel dopoguerra.
La percepivo quotidianamente nel vedere le privazioni a cui erano sottoposti i miei coetanei. Negli occhi lucidi della povera donna che veniva a chiedere a mia madre  piccole somme in prestito 
il lunedì e ritornare per restituirle il sabato e ripetere il rito nuovamente il lunedì successivo. Nell'andirivieni delle povere giovanissime mamme che bussavano alla nostra porta per sentire consigli incoraggianti da mia madre. Una persona disponibile, diventata suo malgrado, punto di riferimento del vicinato che non lesinava comprensione e sapeva ascoltarle. Rappresentava la sorella maggiore che  quelle giovanissime donne avevano sempre desiderato avere. Erano ancora ragazzine, 17 o 18 anni, e già un  carico domestico difficilissimo. Sposate, con un marito anche lui  giovanissimo, e  almeno un figlio con tutte le esigenze dei bambini piccoli. Mia madre riusciva a confortarle e a darle un supporto morale con suggerimenti adeguati ai loro affanni del momento. Sulle incertezze per la  loro prima gestazione o sui loro figli che facevano le normali richieste di tutti i bambini. Ah, dimenticavo proprio quello che a noi figlie dava più fastidio e che disapprovavamo e le rimproveravamo sempre: le iniezioni e l'assistenza ai parti. Lei si giustificava dicendoci che quella gente non avendo soldi per medici e personale tecnico adeguato, si sarebbe trascurata compromettendo il proprio stato di salute.
La povertà, anzi la miseria, l'ho sentita ancora nelle urla disperate della mamma di Riccardina, mentre piangeva sulla bara della sua figlioletta. La mia compagna di giochi era morta di tetano e  per me, che avevo giocato con lei il giorno prima, sicuramente è stato un vero shock, è stato anche il primo incontro con la morte e l'evento più amaro della mia vita. Non dimenticherò mai quello che diceva, quella donna così infelice. Quando ci penso mi sembra realmente inconcepibile per noi. Quella mamma nello strazio  assoluto ricordava quanto bene le avesse voluto e come avesse sempre accontentata in tutte le richieste della sua bimba.Un vero dramma!
Quali desideri aveva avuto in vita la bambina? e quali le sue richieste? Un giocattolo o un vestitino, rispondereste voi. No-o! Solo pane con lo zucchero! Ma, non è per noi assurdo? Vi assicuro questo l'ho vissuto realmente ed è stato sentito dalle mie orecchie.
Vivendo episodi simili, la mia generazione ha vinto la sfida con la povertà minacciosa che le faceva terrore, ma l'ha sempre guardata con dignità e una incoraggiante fiducia.
Avevamo dei modelli di vita vissuta ponderatamente  nella speranza di un futuro migliore. C'era una solidarietà umana veramente sentita, fatta di piccoli gesti, piccole confidenze, qualche buon consiglio, poveri prestiti e spontaneo reciproco rispetto.
Una sana risata, una canzone ascoltata dall'unica radio del vicinato o anche cantata, serviva a scacciare lo stress e la depressione.
Era il tempo e il luogo di cui ho parlato qui in questo mio post dell'anno scorso, per me un periodo di grande formazione.
E sì, devo molto a quella gente.
Se confronto quei tempi con i nostri, mi sembra di essere scesa da un'astronave proveniente da un altro pianeta.
Resto sconcertata per l'eccessiva informazione che considero insana e deviante, un vero lavaggio al cervello. Non che io preferisca ignorare tutto quello che accade, ma c'è solo una eccessiva informazione su una realtà che non è facilmente verificabile, punto e basta. Ho la sensazione che  ci sia una mancanza di volontà ad entrare in contatto con chi soffre, toccare con mano la sofferenza e cercare di dare una mano. C'è solo una finzione di empatia con tutti quelli lontani fisicamente (alludo ai numerosissimi talk show) ma esclude chi ci vive accanto, non ci si preoccupa di chi è vicino. Si sentono parole di solidarietà di facciata, frasi che risultano false o senza senso. Forse è dovuto al cambiamento culturale, cioè al sentirsi parte di un gruppo organizzato che si chiama Stato, con la s maiuscola, in cui basterebbe denunciare quello che accade e delegare le risoluzioni dei problemi agli enti preposti dallo stato. 
Negli anni '50 di cui stavo parlando, si aveva tanto bisogno di solidarietà, non quella denunciata ma quella del contatto fisico. Lo Stato pensava a resuscitare dallo sconquasso per arrivare ad un livello alto non  essenzialmente politico-economico ma anche   ideologico. Questo era sentito dai più sensibili e di buona cultura, certamente meno dai cittadini comuni, educati ed abituati a subire come sempre.
Noi, però, siamo cresciuti nella cultura dello stato che deve provvedere ai bisogni dei suoi cittadini, del “cura promovendae salutis”. La richiesta di un po' di pane urlata dal bimbo affamato, da me ascoltata, o meglio non soltanto da me ascoltata, ma da tutto il vicinato, era l'urlo dei nuovi poveri alle istituzioni. La risposta della povera giovane mamma era sempre la stessa, era un rito scontato. Io non riesco a dimenticarla perchè ci coinvolgeva un po' tutti, in altri termini ci vincolava alla solidarietà e al senso umano. 
Come si può dimenticare la reazione disperata di quella donna. Sempre urlando, sconsolata diceva: "Disgraziè, nan stè (piccola pausa ) vae dalla Signoora!". Così finiva quella sorta di dialogo, e dopo un poco "qualcuno" bussava, e appariva lui sulla nostra porta, carino, profumato di pulito, ben pettinato e felice di rivedere noi.  che lo aspettavamo. La "Signora" per antonomasia era mia madre, mai sorda o distratta nel dare una mano a chi non era fortunato come noi. Lei e tutte le altre "Signore" attrezzate solo di una cultura, una saggezza ed il normale senso umano, le sue umili competenze e la solidarietà umana sostituiva quello che ora pretendiamo dallo stato.
Il mio disgusto, scusatemi ma lo devo dire, è tale quando alle richieste di chi chiede aiuto come quel bambino bello ma indigente, si danno risposte simili  a "Ci dispiace poveretti miei non ci sono fondi", e noi intuiamo il seguito, cioè, andate in televisione a chiedere qualche sms di solidarietà. Così ormai ogni settimana c'è la richiesta di un contributo solidale per sostenere enti privati che fanno le funzioni della "Signora", ormai morta, anche come figura. Ora è l'epoca delle strutture Onlus, veri enti riconosciuti ma non sono ben sovvenzionati.
Quello che mi ha messo veramente in crisi questa mattina è stata la lettura della bella poesia e l'ascolto di altre notizie divulgate in questi giorni. Su un manifesto politico, per esempio, ho letto questo:"Il ... è vicino a tutti i cittadini che in questo momento stanno vivendo momenti difficili".
Ora sono veramente perplessa. Quale conforto possono dare a uno che non sa come sbarcare il lunario frasi come questa?
Bene penso che la vera povertà sia proprio nello sconforto per l' inesistenza di una solidarietà più umana e del calore umano che ridona il sorriso e la fiducia nel futuro.
Quando si è poveri, quindi?
Quando ci si sente abbandonati e privi di speranza, quando ci accorgiamo che non c'è nessuno capace di confortarci e scuoterci dallo sconforto con l'amore per il prossimo, quello che si deve e che è lo stesso che vogliamo noi dagli altri, umile ed umano.
Gustate la delicatezza di questo Neruda, almeno ci si confronta con i nostri sentimenti più belli e sulla schietta fiducia nella vita.
La povertà
(Pablo Neruda Parral, Cile 12/7/1904 - Santiago, Cile 23/9/1973 - Premio Nobel per la letteratura 1971)

Ahi, non vuoi,
ti spaventa
la povertà,
non vuoi
andare con scarpe rotte al mercato
e tornare col vecchio vestito.
Amore, non amiamo,
come vogliono i ricchi,
la miseria.
Noi la estirperemo come dente maligno
che finora ha morso il cuore dell'uomo.
Ma non voglio
che tu la tema.
Se per mia colpa arriva alla tua casa,
se la povertà scaccia
le tue scarpe dorate,
che non scacci il tuo sorriso che é il pane della mia vita
Se non puoi pagare l'affitto
esci al lavoro con passo orgoglioso,
e pensa, amore, che ti sto guardando
e uniti siamo la maggior ricchezza
che mai s'è riunita sulla terra.


........ e
Se desiderate o siete disponibili per una sana risata autoironica, guardate questo grandissimo Totò con tutto un cast di grandissimo valore. Notevole è l'interpretazione di un indimenticabile Marcello Mastroianni.

Una prestigiosa versione cinematografica dell'opera di Eduardo Scarpetta. Molta esagerazione, ma tantissima autoironia.




6 commenti:

  1. E' un post magnifico che dovrebbe indurre molti a riflettere, VERAMENTE!

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    1. Grazie per la stima che nutri per me, sei molto gentile :-).
      Come vedi, in un momento difficile i ricordi del mio passato si sono resi protagonisti facendomi riflettere, ed io spero che anche gli altri riflettano un pochino.
      Un abbraccio

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  2. bellissimo post ! il film mi ha fatto molto sorridere e Totò per me,è ancora insuperabile !.
    Penso di aver colto il senso di quello che dici anche se la realtà di oggi è estremamente più complessa rispetto a quella degli anni '50 perchè c'è stata una profonda trasformazione della società in positivo,ma anche in negativo. Il boom economico degli anni '60/'70 portò il benessere in un'Italia martoriata da una guerra assurda ( e direi anche ridicola,se non fosse stata tanto tragica)ed era giusto realizzare e soddisfare i bisogni dopo anni di privazioni crudeli e sacrifici ma,poi,la lentamente il divario tra chi era ricco e chi non lo era,è iniziato nuovamente ad aumentare perchè col tempo,"grazie" ad una politica fallimentare ed ad una religione che ha sempre parlato di "assistenza"(...e basta,perchè gli faceva comodo) e non di sviluppo sociale,siamo arrivati a questa difficilissima e diversamente(rispetto al dopoguerra)tragica realtà: perchè ? perchè si è perso l'interesse verso gli esseri umani;perchè la politica non parte dalla "conoscenza" profonda degli uomini,intuita (ma non realizzata) da un giovanissimo Carlo Marx quando nella lettera al padre,parlando appunto di questa "realtà interna"umana,la chiamò "la perla delle perle".Marx non ci riusci,anche se non si può dire che fu un fallito,ma noi non possiamo abbandonare questa intuizione,anzi dobbiamo ricominciare da lì e non fermarci-nonostante tutto- solo alla soddisfazione dei bisogni. Certo è difficilissimo parlare di questo, soprattutto quando questi sono fortemente intaccati,quando manca o viene tolto il lavoro,quando non ci si può curare e,nei casi più tragici,quando non si può più nemmeno mangiare.....
    Certo c'è anche una solidarietà e ognuno nel silenzio fa o dovrebbe fare,quello che può,ma non basta.Per trasformare radicalmente la società bisogna ricominciare dalla conoscenza della realtà "interna" degli esseri umani(quella intuita,appunto,da Marx),perchè noi nasciamo "uguali",nel senso che abbiamo tutti gli stessi diritti ma anche gli stessi doveri ed solo con questa certezza universale che possiamo riprendere il cammino.ciao !

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    1. Viviamo in un mondo che piano piano ha quasi perduto il senso comune umano, sono enti, ma gli enti sono organizzazioni di uomini costituiti per aiutare la comunità. Nei propositi e nelle premesse è tutto perfetto. Nella realizzazione dei progetti però manca il buonsenso e l'onestà,il rispetto umano. Quando si è nella fase iniziale,(e se si inizia), normalmente non si sa come e se l'opera avrà un normale svolgimento o sarà cambiato e riciclato mille volte. Non c'è la cura del buon padre di famiglia, si agisce senza lontanamente badare al rispetto delle regole, ad operare secondo la regola fondamentale di chi riconosce gli altri uguali a lui e li rispetta. Sono enti astratti, sì ma hanno gli uomini che li governano.
      Buon weekend mia cara!!!

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  3. Bé, si tratta delle diverse accezioni che si da alla parola "povertà". Si può essere poveri in termini di mezzi economici, ma certamente lo si può essere di spirito, di solidarietà, di umanità. E le diverse forme di povertà possono coesistere. Comunque, hai perfettamente ragione: anche a me urta molto 'sta storia del "non ci sono fondi". Lo scorso mese in un parco genovese è morto un daino... di stenti perché rimasto bloccato nel fango dovuto alla pioggia. Chi avrebbe dovuto salvarlo ha dichiarato di non aver potuto perché il governo non da più i mezzi... Mia moglie, sgomenta, mi ha guardato e mi ha detto "Ma che mezzi ci vogliono per aiutare un daino ad uscire dal fango?" :-( Oggi è così: chi dovrebbe fare non fa e da la colpa alla mancanza di mezzi.
    A careless worker blames his tools, insomma...

    www.wolfghost.com

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    1. E sì, tutte le accezioni possibili di povertà da sole sono mortificazioni degli esseri umani tra le più dannose, se poi coesistono, come accade in questo periodo, allora sì che la povertà è disperazione e strazio.
      A sentire e vedere certe cattiverie, anzi crimini, mi auguro che ci sia l'aldilà o la metempsicosi metempsicosi, perchè sulla terra e da vivi non ci sarà mai giusta punizione per loro. Ardere tra le fiamme eterne dell'inferno o rivivere una vita da bestia immonda sarebbe la vera giusta pena, purtroppo chi è colpevole da noi, se va via, gli danno anche la pensione o la liquidazione milionaria.

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