"rascel

«Io prendo manciate di parole e le lancio in aria; sembrano coriandoli, ma alla fine vanno a posto come le tessere di un mosaico».
(Renato Rascel)
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giovedì 18 aprile 2013

I "MIEI" GATTI

Un sosia di Pussy da google
...e sì, lo confesso anch'io amo i gatti!
Non tanto i domestici, ma i randagi.
Mi "hanno adottata", sono nostri ospiti durante le vacanze e vengono a farmi visita in campagna dove passo i mesi estivi, mentre loro sono padroni assoluti d'inverno.
Il primo ad iniziare la tradizione e ad entrare in confidenza con noi, fu Pussy.
Avevamo in comune una crisi d’abbandono da smaltire e questo favorì l'incontro.

Era una mattina di settembre, i miei ragazzi erano partiti il giorno precedente, le loro ferie erano finite, mi mancavano tanto e questo mi metteva un magone immenso.
Lui era arrivato mentre rientravo dopo aver chiuso il cancello, avevo accompagnato mio marito che faceva una capatina in città.
Piccolissimo, una palletta dorata, desideroso di una nuova famiglia. Era evidente, ci avevano giocato per tutta l’estate e poi lo avevano abbandonato.
Essendo allergica al pelo degli animali, avevo cercato di allontanarlo, ma lui niente, aveva deciso. Noi eravamo meritevoli della sua compagnia, non c'era nulla da discutere.
Lo avevamo nutrito e dato affetto per due anni. 
Pussy non ci lasciava un attimo, era gelosissimo e se venivano a farci visita altri gatti li aggrediva.
Ancora piccolo, si era trascinato dietro una gatta con i suoi micetti dietro. Ce li ritrovammo a primavera che giocavano in un angolino del back garden tra il fico e il corbezzolo che strategicamente li proteggevano dagli eventuali pericoli.
Dapprima timidi e paurosi, poi più fiduciosi e più giocherelloni.
Erano cinque micetti, la loro mamma e un'altra gatta che dava una mano ad accudire la famigliola. Pussy che già li conosceva, li aveva accettati e divideva con loro il suo territorio.
Poi un brutto giorno, per l'arrivo di strani "vicini", tipi che a modo loro amavano gli animali, è ritornato agonizzante, sbranato dal loro dobermann.

Lo abbiamo perduto, ma noi non siamo più rimasti soli.
Dei cinque micetti adesso ne è rimasta una, gli altri li abbiamo visti morire nel nostro giardino avvelenati e non sappiamo chi sia stato.
Ora è nostra ospite padrona la superstite del gruppo, la mamma di Douce e di Kitty e forse altri micetti che avrà "sfornato " chissà dove e che tra poco li vedremo con loro. 

Facendomi compagnia, sempre a debita distanza, insegnandomi cos'è il rispetto e l'amicizia, è come se mi ringraziassero donandomi la loro cortese e deliziosa presenza. 
Si fermano in giardino e ci osservano.
Molto spesso giocano tra loro rincorrendosi o improvvisando lotte e simpatiche azzuffate o semplicemente aspettano l’ora di pranzo.
Mi regalano le loro prede (immaginate un po’ cosa possano essere) forse per riconoscenza alle nostre coccole "alimentari" e alla nostra protezione o soltanto perchè ci vogliono bene.
D'inverno andiamo a trovarli e se non sono nel nostro giardino, dopo pochi minuti arrivano di corsa a salutarci e a svuotare il loro piatto pieno di cibo adatto a loro.
Miagolando tranquillamente sembrano intrattenerci finché non andiamo via, fiduciosi ci  seguono in tutto ciò che facciamo sempre a debita distanza, difendendo così la loro riservatezza di randagi che noi assecondiamo con affetto.



lunedì 26 novembre 2012

LA COSA "PIU' STRAORDINARIA" DI QUESTA ESTATE (2012): CASSIOPEA

Un regalo tanto desiderato, sempre sognato,

 e ora....

Miracolosamente ricevuto!

Immagine dal web

Sono ancora così emotivamente scossa che non so come cominciare.
Ma tranquilli, è proprio una bellissima storia!
I protagonisti?
Ve li presento subito:
ZAZZA' e ACHILLE, e CASSIOPEA, così in ordine di anzianità
Chi sono?
Da più di 25 anni sono con noi, almeno nel nostro cuore, ma sono stati, e continuano ad esserlo sempre, i nostri pets .
Sono una famiglia di testudo hermanni ovvero tartarughe di terra.
Achille e Zazzà hanno visto crescere i miei figli, hanno fatto parte della loro vita dall'infanzia e li hanno accompagnati per tutta la loro adolescenza e anche oltre.
Erano il loro orgoglio ed anche l'ammirazione dei loro amichetti.
Sapevo che il mio secondogenito, a cui avevamo regalato Achille, un maschio di tredici anni quando lui ne aveva solo sette o otto, lo aveva portato a scuola su richiesta della sua straordinaria maestra. Era stato inconsapevole protagonista nella classe ed "usato" come sussidio didattico. Pare che successivamente la stessa avventura fosse toccata anche a Zazà. 
Non avevo mai capito quanto potessero essere stati importanti anche per quei ragazzini. Me ne resi conto quando ormai Zazzà ed Achille erano con noi già da una decina di anni. Uno  di loro me lo ero ritrovato come alunno al primo anno nelle superiori.
A scuola, in una lezione sulla famiglia anglosassone, avevo parlato dei "pets" come membri di tutto rispetto e considerati a tutti gli effetti parte del nucleo famigliare. Per dimostrare che aveva capito il concetto, un ragazzo, coetaneo di mio figlio, fece il nome di Achille. 
Sapevo che aveva frequentato la stessa classe del mio secondogenito nelle elementari ma mi aveva sorpreso il fatto che conoscesse come mai lo avevamochiamato Achille.
Achille è velocissimo, una cosa inaspettata per noi che abbiamo sentito dire sempre "lento come una tartaruga"! 
Al nostro primo incontro, non riuscivamo a stargli dietro e mio marito lo aveva fermato dicendogli: "Vieni qua; Piè Veloce, dove vuoi andare?", avendo una grande passione per la mitolagia greca, mio figlio cominciò a gridare rivolgendosi alla povera bestiolina un po' spaventata: "Tu sei Achille, allora!".
Sì anche adesso, come allora, è velocissimo e temerario. Qualche volta lo abbiamo anche perduto e poi ritrovato fortunatamente a qualche isolato dalla nostra casa, o qualcuno ce lo ha riportato.
Ci piacciono tantissimo gli animali, ma non vogliamo far loro violenza relegandoli in casa e in cattività costringendoli ad una vita egoisticamente a dimensione umana. Così, non ricordo se l'anno successivo o lo stesso anno, arrivò Zazzà, una signorina tartaruga sui 15-18 anni.
"Perchè proprio questo nome?" è stata la domanda ricorrente di tutti. Essendo molto schiva, anzi meglio, meno avventurosa del suo compagno, usava nascondersi ad ogni piccola sensazione di cambiamento esterno.
Appena arrivata a casa, il primo giorno, messa per terra in giardino, improvvisamente era scomparsa dalla nostra vista. Come faccio sempre per sdrammatizzare una situazione imbarazzante, cominciai a canticchiare "Addò sta Zazzà" (dove sta Zazzà). Così tutti, quando la ritrovammo lì vicino, dietro un vaso, allegramente gridarono: "Sì, lei è Zazzà"
La loro vita è stata sempre così tranquilla e monotonamente coinvolgente. Letargo invernale per Zazzà, semiletargo per Achille e risveglio in primavera con vita sociale, anzi coniugale, tranquilla e disinvolta. Scoprimmo con sorpresa ed emozione che ci aspettavano,  perchè appena sentivano la musica che immancabilmente ascoltavo di ritorno da scuola, si presentavano per darmi a loro modo il buon giorno. Aspettavano al sole, sotto il gradino della porta del giardino, per un saluto e un po' di frutta o verdura. E lo stesso rito si ripeteva con l'arrivo dei bambini di cui amavano le loro immancabili coccole, le loro risatine e le loro esclamazioni di gioia.
Abbiamo imparato tanto da loro, animali molto riservati ma molto decisi ed ostinati. Ci hanno insegnato a rispettare tutti gli animali con la conoscenza e la comprensione. Abbiamo capito bene che l'etologia non è una scienza che si studia sui libri, ma è la comprensione del pensiero del mondo animale e che ci insegna a non essere presuntuosi ed onniscienti padroni del mondo.
 Il loro comportamento e le relative reazioni verso il mondo esterno all'inizio ci hanno un po' disorientati. Per la nostra completa ignoranza delle loro regole di vita, pensavamo che Achille non sopportasse la presenza di Zazzà. La mordeva e la inseguiva, dal mio punto di vista una vera persecuzione, sembravano vere e proprie violenze che finivano con  fragorosi atti sessuali. Scusatemi ma da ignorante ed abituata a valutazioni umane per me era pura violenza, esagerato, vero? Ci ho messo un po' di tempo per capire che quello era il loro corteggiamento, ora so che l'amava come noi umani sappiamo amare.
Achille è stato un maschio molto esigente, Zazzà una madre che non ha forse mai conosciuto le sue creature. Con una puntualità sorprendente, verso la fine di giugno, deponeva tre o quattro uova. Non le interrava, non so perchè le deponesse lì, dove mettevamo il loro cibo, come se ce le donasse.
Per noi quello era un momento magico, ci elettrizzava letteralmente, ma ci metteva anche in un grande imbarazzo perchè non sapevamo cosa fare.
Ogni hanno sperimentavo quello che di volta in volta riuscivo a sapere consultando internet, enciclopedia e consigli di amici più fortunati, una mia collega ne aveva tante e diventavano sempre di più.
Così lo loro vita a due è continuata nella solita, monotona ma coinvolgente routine. Letargo invernale per Zazzà, semiletargo per Achille, risveglio,  piena attività così per tutti questi anni fino alla primavera scorsa.
Una mattina, al risveglio dal letargo, ho notato in Zazzà dei gonfiori ed una lentezza un po' sospetta. Il suo modo così poco reattivo era durato tutto il giorno, mi aveva proprio inquietata.
Il giorno successivo l'ho trovata morta.
E' ancora con noi, sepolta nel luogo dove preferiva stare, all'ombra di un vecchio limone e sotto le calle e le violette.
Achille ha sofferto tanto per la sua scomparsa, l'ha cercata disperatamente, "annusando" e seguendo tutti i percorsi fatti da lei solitamente, con commovente e sconsolata perseveranza.
Ho sofferto tanto e ne soffro ancora, é stata oggetto dei miei sogni, non erano sogni tristi. La vedevo sempre circondata da tante piccole tartarughine, e una in particolare piccolissima sembrava volesse offrirmela. Erano bellissime!
Tutto questo tormento psicologico è durato  fino a quando....
A questo punto non mi è facile continuare la storia, per me è ancora incredibile.
Dopo più di un mese dall'accaduto, una mattina, mio marito tutto emozionato con una voce e l'espressione di chi ha visto un miracolo, mi ha invitata ad uscire in giardino per vedere qualcosa che mi avrebbe fatta felice. Non so perchè ho pensato a quel piccolo esserino che Zazzà mi offriva nel sogno e gli ho detto meravigliandomi di ciò che dicevo: "C'è un'altra tartaruga, vero?".
non avevo finito di parlare  e mi accorsi che giù in giardino con Achille che mangiava c'era un'incredibile visione. Apparsa come regalo del paradiso delle tartarughe, Cassiopea era lì, un esserino, una miniatura di 3,7 centimetri di diametro dal peso di 16 grammi che ora è con me in casa in semiletargo!
Perchè l'ho chiamata Cassiopea così con l'accordo di tutta la famiglia, perchè è venuta dal  nulla come la saggia tartaruga parlante, amica di Momo dell'omonimo romanzo di M. Ende.




  Frammento video dol film MOMO tratto dall'omonima opera di M. Ende, belissima favola e splendido romanzo in cui co- coprotagonista è Cassiopea, una tartaruga che dialoga con una bambina, Momo, di cui si ignora del tutto il suo passato. Cassiopea le è sempre vicina le dà conforto e ottimi consigli. Splendida la colonna sonora di Branduardi: un incanto che emoziona tanto.



martedì 6 novembre 2012

L'AMORE PERDUTO

"Tout passe, tout lasse, tout casse" 
Tutto passa, tutto stanca - sfinisce, tutto si frantuma....
e... rimangono le ferite.
Sì, è sempre così. Certamente finirebbe il mondo se non ci fosse la rassegnazione e la speranza: la vita deve continuare comunque!
Molti sono le storie d'amore narrate o meglio cantate che ci hanno lasciato i Grandi di tutti i tempi. La sensibilità umana ci fa riflettere su quanto i nostri sentimenti siano forti e determinati in noi, ma è consapevole  delle imponderabili variabili della vita che ci portano al cambiamento delle situazioni lasciando un amaro che mano a mano sfuma in ricordo quasi sempre nella speranza.
Forse queste "canzoni" di autori indimenticabili, come la prima è più vicina a noi, è del grandissimo ed indimenticabile Fabrizio De André. La sua consueta profondità sulle riflessioni degli umani sentimenti è facilmente visibile nei versi armoniosi. Trovo sia meglio leggerli attentamente prima di ascoltare la sua affascinante interpretazione.
Le altre sono belle per altri motivi che mi piacerebbe scopriste da soli, vi ho messo il testo e fatto la traduzione per quelle in vernacolo.Sono solo Italiane e qualcuna rappresenta il nostro folcrore.
Amore Che Vieni, Amore Che Vai
(di Fabrizio De André)
Quei giorni perduti a rincorrere il vento
a chiederci un bacio e volerne altri cento
un giorno qualunque li ricorderai
amore che fuggi da me tornerai
un giorno qualunque li ricorderai
amore che fuggi da me tornerai

e tu che con gli occhi di un altro colore
mi dici le stesse parole d'amore
fra un mese fra un anno scordate le avrai
amore che vieni da me fuggirai
fra un mese fra un anno scordate le avrai
amore che vieni da me fuggirai

venuto dal sole o da spiagge gelate
perduto in novembre o col vento d'estate
io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai
amore che vieni, amore che vai
io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai
amore che vieni, amore che vai...

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Questa che segue, Fenesta Ca Lucive, è una storia molto triste conosciuta in tutto il mondo, la musica è più struggente delle parole. E' stata presente in tutti i testi di musica e canto per le scuole italiane fino a poco tempo fa. Qui il protagonista non trova altra via per rassegnarsi alla perdita della sua amata se non quella di farle visita al cimitero.
Fenesta Ca Lucive
(di anonimo napoletano)
Finestra che brillavi (trad. Cle Reveries)
Fenesta ca lucive e mo nun luce,
Finestra che brillavi ed oro non brilli
sign'è ca Nénna mia stace malata.

è segno che la mia "Bambina" (Nenna) mia sta malata.
S'affaccia la surella e mme lu dice:

Si affaccia sua sorella e melo dice
"Nennélla toja è morta e s'è atterrata".

"La tua Nennella è morta e l'hanno sotterrata
Chiagneva sempe ca durmeva sola,
piangeva sempre perchè dormiva sempre da sola
mo dorme co' li muorte accompagnata.

adesso dorme accompagnata dai morti.
Mo dorme co' li muorte accompagnata!
Adesso dorme accompagnata dai morti.
Addio fenesta, rèstate 'nzerrata,
Addio finestra rimani chiusa
ca Nénna mia mo nun se pò affacciare.
perchè la mia Nenna non si può più affacciare

Io cchiù nun passarraggio da' 'sta strata,
Io non passerò più da questa strada 

vaco a lo camposanto a passíare.
Vado al cimitero a passeggiare
Zi' parrocchiano mio, tiene 'nce cura,
Oh mio caro custode, abbine cura 

na lampa sempe tienece allummata.
Tieni sempre accesa una lampada
Na lampa sempe tienece allummata!
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Lu Rusciu Te Lu Mare
Anche questa è una conzone popolare molto antica, da poco riscoperta e cantata dai gruppi di recente formazione nella "Notte della Taranta". Parla di un amore impossibile tra un soldato ed una principessa promessa sposa di un altro nobile spagnol
LU RUSCIU TE LU MARE
(di Anonimo Salentino)
Il Mormorio del Mare (trad. Cle Reveries)
Na sera jeu passai pe le padule
Una sera passai per le paludi
E ntisi le ranocchiule cantare,
Esentii le ranocchie cantare
E ntisi le ranocchiule cantare.

Commu cantanu belle a una a una,

Come erano belle mentre cantavano a una a una
Pariane lu rusciu te lu mare,
Sembravano il mormorio del mare.
Pariane lu rusciu te lu mare.

Lu rusciu te lu mare è troppu forte,

Il mormorio del mare è troppo forte
La fija te lu re se dia la morte.
La figlia del re si dà la morte
La fija te lu re se dia la morte.

Iddha se dia la morte e jeu la vita,

Lei si dà la morte e io la vita
La fija te lu re sta se marita,
La figlia del re si sta maritando
La fija te lu re sta se marita,

Iddha sta se marita e jeu me ‘nzuru,

Lei si sta maritando e io mi sposo 
La fija te lu re me tae lu fiuru,
La figlia del re mi dà il fiore
La fija te lu re me tae lu fiuru,

Ca jeu lu core meu, Ca jeu lu core meu,

'Chè io il cuore mio, 'chè io il cuore mio
Ca jeu lu core meu, Ca jeu lu core meu,
'Chè io il cuore mio, 'chè io il cuore mio
Ca jeu lu core meu te l’aggiu dare.
'Chè io il cuore mio te lo devo dare

Iddha me tae lu fiuru e jeu la palma.

Lei mi dà il fiore ed io la palma
La fija te lu re se vae a la Spagna.
La figlia del re se ne va in spagna
La fija te lu re se vae a la Spagna

Ca jeu lu core meu, Ca jeu lu core meu,

'Chè io il cuore mio, 'chè io il cuore mio
etc.

Iddha se vae a la Spagna e jeu Nturchia,

Lei se ne va in Spagna ed io in Turchia
La fija te lu re è la zita mia,
La figlia del re è la mia ragazza
La fija te lu re è la zita mia.

Ca jeu lu core meu, Ca jeu lu core meu,

Ca jeu lu core meu te l’aggiu dare.

E vola vola vola, palomba,vola

E vola vola vola, palomba,vola….
E vola vola vola, palomba,vola
E vola vola vola, palomba,vola….

Ca jeu lu core meu, Ca jeu lu core meu,

Ca jeu lu core meu te l’aggiu dare.
Ca jeu lu core meu, Ca jeu lu core meu,
Ca jeu lu core meu te l’aggiu dare.

E vola vola vola, palomba,vola

E vola vola vola, palomba,vola….
E vola vola vola, palomba,vola
che_luci

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Questa è una chicca del Quartetto Cetra, un vanto per la nostra storia della musica. L'interpretazione è eccezionale, la narrazione è stupenda e la briosità della  musica, rendono più leggera e romantica la triste storia.
Conosciutissima e cantata da tutti negli anni '50, dopo essere presentata ad un famosissimo Festival di San Remo ebbe un successo strepitoso.
Senz'altro è una storia delicata, e molto, molto romantica.
Aveva Un Bavero
(1957, M.Panzeri - V.Ripa, Ed. Tevere)
Nelle sere fredde e scure
presso il fuoco del camino,
quante storie, quante fiabe
raccontava il mio nonnino.

La più bella ch'io ricordo

è la storia di un amore,
di un amore appassionato
che felice non finì.

Ed il cuore di un poeta

a tal punto intenerì
che la storia di quei tempi
mise in musica così:

Aveva un bavero color zafferano

e la marsina color ciclamino,
veniva a piedi da Lodi a Milano
per incontrare la bella Gigogin.

Passeggiando per la via

le cantava "Mio dolce amor,
Gigogin speranza mia
coi tuoi baci mi rubi il cuo"r.
(Parlato)
E la storia continua:
Lui fu mandato soldatino in Piemonte
ed ogni mattina le inviava un fiore
sull'acqua di una roggia
che passava per Milano.
Finchè un giorno:

Lui, saputo che il ritorno

finalmente era vicino,
sopra l'acqua un fior d'arancio
deponeva un bel mattino.

Lei, vedendo e indovinando

la ragione di quel fiore,
per raccoglierlo si spinse
tanto tanto che cascò.

Sopra l'acqua, con quel fiore,

verso il mare se ne andò,
e anche lui, per il dolore,
dal Piemonte non tornò.

Aveva un bavero color zafferano

e la marsina color ciclamino,
veniva a piedi da Lodi a Milano
per incontrare la bella Gigogin.

Lei lo attese nella via

fra le stelle stringendo un fior
e in un sogno di poesia
si trovarono uniti ancor.

(Parlato)

Stretta la foglia larga la via
dite la vostra
che noi abbiamo detto:
Un bavero color zafferamo.
La storia di un amor!

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La povera Cecilia è un canto patriottico dell'unità dìItalia, è cantata molto spesso nei cori alpini.
Anche qui un amore finito, uno strano amore in una vicenda un po' torbida che finisce in tragedia.
LA POVERA CECILIA
La povera Cecilia piange il suo marì,gliel’hanno imprigionato per farglielo morir.
“Oh signor capitano la grazia fate a me!
“La grazia te la faccio, vieni a dormir con me!”
Allora la Cecilia corre alla prigion:
“Marito sei contento s’io vo a dormir con lui?”
“Vai, vai pure Cecilia non star pensar l’onor,
salva la vita mia, levami di prigion.”
A mezzanotte in punto, Cecilia dà un sospir:
“Cosa hai tu Cecilia da non poter dormir?”
“Ho fatto un brutto sogno, ch’è morto mio marì,
se il mio marito è morto, anch’io voglio morir.”
“Dormi, dormi Cecilia, dormi senza un sospir,
che domattina buon’ora il tuo marito è qui.”
Alla mattin buon’ora Cecilia va al balcon,
vede il suo marito col collo a penzolon.
“Addio belli palazzi, addio belle città,
addio visin dorato e chi ti bacerà.”
Laggiù al camposanto fioriscono rose e fior,
è il fior della Cecilia ch’è morta per amor.
La povera Cecilia


mercoledì 26 settembre 2012

... e sì, "divi":

E'giusto che siano considerati modelli?
Anche questo è un bel dubbio a cui accompagno un'altra domanda, chi è il divo? 
...e questo mi  tormenta da una "eternità".
Precisamente da quando questo grandissimo personaggio, eccellente cantautore, trascinatore di fans di ogni età che evoca sempre in tutti,  sentimenti ed emozioni, stranamente è riuscito a farmi riflettere sullo squallore umano.
Proprio lui, Lucio Battisti!






Lo so qualcuno penserà che io sia affetta da protagonismo acuto. Lo hanno pensato quelli che me lo hanno sentito raccontare, e qualcuno me lo ha anche detto.
Comunque  per me non è stato facile accettare il suo modo di comportarsi nei miei confronti!

E' intuibile che il fatto risalga ai primi anni '70.
Naturalmente  come tutti i sessantottini, mi aspettavo un mondo più vicino ai sentimenti reali e genuini. Ce lo meritavamo, uscivamo da vere e proprie lotte fatte per rendere possibile l'agognato "mondo migliore" ed affermarlo a tutti i costi. 
Trascorrevo un periodo difficilissimo, ero alla fine di un percorso universitario. 
In corso con gli esami di una laurea in lingue e letterature straniere che mi aveva appassionata tanto e mi aveva fatto conoscere ed ammirare geni riconosciuti ed ammirati in tutto il mondo per il loro grande spessore culturale e il loro rispetto per gli altri. Faccio con orgoglio alcuni nomi, sono i miei "divi" che mi hanno guidato continuamente professionalmente ed umanamente, come esempi di coerenza ed umanità.
Al primo posto c'è il mio Magnifico (in tutti i sensi) Rettore Carlo Bo, sempre cordialmente burbero e disponibile  per un consiglio o semplicemente per la risoluzione di un banalissimo problema. Era a nostra disposizione sempre, in facoltà e a spasso per le vie di Urbino sotto i portici dopo cena. Lasciava trasparire una malcelata ammirazione per noi giovani, e chi se lo dimentica più!!!

Dario Fo  mi ha dato la chiave di lettura della vita con gli altri, di chi come essere umano è impegnato nella coesistenza in un mondo aperto a tutti. Da lui ho appreso l'autoironia e ho imparato cos'è la satira, come è possibile esprimersi efficacemente con il nostro corpo usando la mimica come linguaggio completo e accessibile a tutti. Come la musica sia mezzo di divulgazione di fatti sociali e culturali e come i canti e le musiche siano stati veicoli di abitudini e mode da sempre nella vita sociale. E la più bella di tutte l'ironia vera, senza esagerazione, ma solo intelligenza e humor sense .

Luciano Codignola a cui devo moltissimo per la critica letteraria e teatrale.

Scusatemi, ma certi ricordi mi fanno ritornare indietro in un vissuto piacevolissimo, di una vita completa, intrisa di affetto, rispetto, amore e gioia di vivere, piena di cultura e tutto su una colonna sonora di capolavori indimenticabili dei più rinomati gruppi e cantanti grandissimi, li ricordiamo sempre. anche lui l'idolo delle fans: Lucio Battisti insieme alla grande Mina.

Mi capiranno benissimo tutti quelli che hanno già preso una laurea, come ci si sente quando  finito quasi tutti gli esami si cerca ancora altro materiale per completare la sudatissima tesi.

Quel giorno avevo una rabbia dentro che mi mordeva più del solito, malgrado i miei sforzi e le mie ricerche non ero riuscita a trovare altro su l'allora quasi sconosciuto premio nobel nel 1983: William Golding. Amavo, e lo amo ancora, il suo "Lord of the Flies" e volevo saperne di pù su di lui e sul suo romanzo oggetto della mia tesi. Quel giorno ero lì, vicino alla uscita laterale del teatro Petruzzelli, in una Bari primaverile odorosa di fior e di mare. Ero stata alla biblioteca universitaria, senza successo, anzi avevo frenato la mia rabbia quando avevo capito che addirittura nessuno sapeva dell'esistenza di W. Golding.
All'improvviso vidi uscire da quella porta sempre chiusa a quell'ora del mattino  i divi del momento, così sereni e disinvolti dopo le prove per una importante serata.
Mi avevano distratta sì, ma non ero nello stato d'animo giusto per quell'evento, in quel momento mi interessava solo Golding!
Mi passò vicino Edoardo Vianello, quasi lo avevo scambiato per un bancario. Basso più di me, un bancario molto sicuro di sé, con il suo impermeabile beige, una cartella da legale sotto il braccio. Mi sembrava emanasse presunzione da tutti i pori e non mi sfiorò nemmeno il pensiero che avevo ballato tantissime volte coni suoi "Vatussi" o "Il Peperone". Avevo altro per la testa!
Sotto i riflettori e con i loro strumenti magici sono sempre molto attraenti per noi che lì abbiamo lo stato d'animo giusto!.

Poi ci furono i gruppi, anche per loro fu la stessa cosa.

Un urlo da gallina infuriata, una donna isterica guidava un bel codazzo di gente irrequieta e scalmanata mi scosse dalle mie serie riflessioni  gridava: "LUCIO, LUCIO!!!" .
Così, avvertii molto vicina la presenza di Mogol e Lucio Battisti che mi guardavano e si chiedevano, ad alta voce, come mai non fossi nella folla scatenata. 
Il "divo " aveva un'aria strana, tra il mortificato e il beffardo.
Rispondendo al "ma...!?" del suo amico e guardandomi in faccia con l'aria dei bambini diseducati ed impertinenti quando ti vogliono punire senza usare le mani, lo sentii dire voltandosi e guardandomi per farmelo sentire bene: "No,  è solo una mignotta!!!"
Ci sono stata male per anni.
Sono una persona che non ama le offese per nessuno e per nessun motivo, e poi il torpiloquio nooo!
Sono stata sempre sul punto di scrivergli, ma alla sua morte mi ha fatto tanta pena e ha trasformato il mio risentimento in pietà.
Ho capito che non era lui il "genio", ma era solo il povero ragazzo che si difendeva con il classico bagno di folla dallo squallore delle sofferenze umane!
Comunque gli devo dire UN GROSSO GRAZIE per le emozioni che continua a suscitare in me, e con lui anche a Mogol che con i suoi testi mi fa vibrare l'anima scaldandomi il cuore!   





venerdì 27 aprile 2012

PERCHE’ LA GUERRA?



Non ce lo ha mai detto direttamente, ma noi lo sapevamo, sapevamo tutto di lei.

Quando parlava con le sue amiche noi eravamo sempre con lei, molto spesso stavamo lì per curiosità, o per “educazione”, cioè era la buona educazione che lo imponeva.
Era interessante conoscere le banalità quotidiane delle famiglie delle sue amiche. A quei tempi, noi non avevamo la televisione così gli spettacoli ce li facevamo da soli. Ci erano utili quei momenti, attingevamo da lì le battute per gli sketch del nostro cabaret privato.
Nei momenti in cui i loro discorsi si facevano più interessanti, o meglio, più importanti per noi, mia madre improvvisamente ricordava di aver dimenticato una commissione o un accidente qualsiasi e con urgenza venivamo allontanate per uscire e svolgere il suo compito.
Proprio quella mancanza di garbo ci insospettiva tanto: era tutto chiaro. Sapevamo bene, e già da molto tempo, che era giunto il momento per levarci di torno, ci alzavamo senza batter ciglio. Facevamo finta di uscire, sbattevamo le varie porte, ritornavamo indietro in punta di piedi e ascoltavamo
 in silenzio.
Erano quasi sempre le stesse storie piene di sospetti tradimenti, presunte tresche, insomma, quello che ora liberamente circola sui nostri rotocalchi e in certi talkshow televisivi.
Da loro ho sempre saputo dell'esistenza di "festini", "party a luci rosse" e relazioni omosessuali, tutto studiato poi 
a scuola nelle biografie di scrittori e poeti illustri  o letti nei romanzi d'autore messi all'indice.

Perciò noi sapevamo sempre tutto!
Non ho mai capito come riuscisse a mantenere la sua ferma autorevolezza di mamma e la sua amichevole complicità col suo gioioso modo di considerarci sue amiche.
Con noi forse, anche lei scopriva il mondo. 

Era molto ingenua, nelle conversazioni "proibite" che ascoltavamo la sentivamo ripetere, con voce sinceramente incredula:"Ma no !? non è possibile, sono esagerazioni o fantasie di gente poco seria e cattiva, non si può credere a certe volgari fantasie. No, non dobbiamo crederci!"

Lei era ancora una ragazzina, aveva avuto la sua prima figlia a diciotto anni, (a quei tempi ci si sposava quasi adolescenti) e si era anche in un periodo in cui si doveva credere che i bambini nascevano sotto il famoso "cavolo" e avere un amichetto, cioè amico maschio piccolo, non era del tutto "per bene".


Aveva seguito suo marito in una città molto diversa dal luogo in cui aveva vissuto. Ci era arrivata un anno prima che iniziasse la seconda guerra mondiale e Napoli con la sua gente così viva ed allegra l’aveva conquistata subito.
Non aveva mai smesso di amarla, aveva 
sempre ammirato quel luogo di estrema bellezza, quella Via Caracciolo frequentata dai grandi personaggi, artisti, poeti, scrittori che si incontravano e si fermavano con la gente comune. Spesso raccontava  del grande Benedetto Croce, quel signore anziano che veniva a sedersi sulla sua panchina e giocava con noi come un semplice nonno e con lei si soffermava sulle cosiderazioni sociali del momento.
Ammirava quella gente che sapeva soffrire la fame, gli stenti con serenità, e nella distruzione e nel caos era sempre piena di speranza e orgoglio per un passato ricco di cultura e arte.


 La guerra crudelmente stava sgretolando tutto sotto i loro occhi, ma non si erano mai arresi.
I bombardamenti continui sulla città non impedivano ai napoletani rinchiusi nei ricoveri sotterranei di continuare a vivere e a sognare.
Lì sotto c'era tutto il quartiere che continuava a vivere, anche senza vedere il sole o sentire la brezza del mare. Le sue attività consuete animavano quel luogo squallido e affollato. Nella promiscuità assoluta ognuno dimostrava una apparente noncuranza per ciò che accadeva fuori.
C’era chi cantava le sue composizioni chiedendo il parere dei presenti, chi intonava motivi famosi, chi recitava poesie, chi dava lezioni di musica o canto e qualcuno anche quelle delle materie scolastiche: era "o professor". Molti svolgevano normali attività manuali, le donne lavoravano a maglia confrontandosi o si scambiavano pareri e consigli tecnici. C'era anche chi spettegolava, chi litigava e chi dormiva. I bambini tranquillamente facevano la loro solita vita. 

Tutto questo ce lo raccontava sempre, forse sapeva che non lo avrebbe mai dimenticato.
Ma ciò che le accadde quel giorno non ha avuto mai la forza di dircelo, di dircelo guardandoci negli occhi...

.....sì quel giorno aveva fatto tardi. Si era avviata all'ultimo segnale dell'orribile sirena che avvertiva dell'arrivo degli aerei con le loro bombe che mettevano in forse le sorti delle abitazioni lasciate così..scappando via senza un attimo di esitazione.
E sì che aveva sentito alla radio il temutissimo "Maria che si prepari" di Radio Londra, sapeva che doveva affrettarsi, essere veloce come il vento perchè c'erano molte probabilità di non farcela. 

Con una neonata e un'altra bambina di tre anni era proprio difficile prevedere tutto e prepararsi  per essere pronti a scappare.
Quella volta non ce la fece. Aveva affidato la maggiore delle mie sorelle con tutto il necessario di sopravvivenza ai suoi amici, le davano sempre una mano e tanto coraggio, così lei era rimasta a sistemare l'altra piccola di pochissimi mesi.

Era scesa giù con la bimba abbracciata forte a lei sotto la sua pelliccia, ormai diventata la sua seconda pelle, la indossava per quelle dannate corse due o tre volte al giorno e la teneva su ore ed ore laggiù in quella strana bolgia,  fino all'annuncio dello scampato pericolo.
Aveva sentito il frastuono degli aerei che si avvicinavano col loro carico di morte ed avanzavano a volo radente sparando all'impazzata.

Si era buttata giù per terra, appiattendosi sotto il marciapiede di una strada principale di Napoli tenendo la sua bimba stretta stretta a lei, pregava aspettando Sorella Morte.
Guardando verso il cielo vide "l'alleato americano", un ragazzo anche lui, ubriaco fradicio che sghignazzava e urlava a squarciagola. L'aveva presa di mira e sparava contro di lei preso dalla furia della sua esaltazione, divertendosi in modo scellerato, senza fortunatamente colpirla.
Stette lì immobile finchè l'altro non ritenne opportuno smettere con lei forse per cambiare divertimento.

Quando fu finita quell'incursione si alzò incredula per ciò che aveva vissuto e ancora con l'immagine di quel ragazzo che giocava con la sua vita e quella di sua figlia divertendosi e sollazzandosi, si avviò nella devastazione totale che la circondava.

Raggiunse gli altri, riabbracciò finalmente la sua piccola che aveva temuto di non rivedere mai più e tra l'affetto e le coccole di quella "gente tutto cuore" riprese la vita di sempre. 


Forse mia madre non ha mai dimenticato, ma anche noi non abbiamo dimenticato, anzi per me la sua disavventura è stata la ragione del mio odio per la guerra.
Lei non ci aveva detto niente, non aveva coltivato l'odio per quel soldato sciagurato  perchè sapeva che così è la guerra!


LA PAROLA GUERRA MI FA INORRIDIRE. COLPISCE PROFONDAMENTE SOLO GLI INNOCENTI ED ESALTA I MALI DELLA TERRA.


E' ancora e sempre così, lo dicono anche i versi di questa poesia che mi ha fatto pensare a lei .


LANCIANO BOMBE E SORRIDONO
(di Gladys Basagoitia n. a Lima, Perù nel 1935 residente a Perugia) 

Accaniti
armati fino alla punta dei capelli
fino al filo dei denti
in nome della pace lanciano l’amo e l’esca
latte in polvere
farina
medicine scadute
lanciano bombe e sorridono
sperando che i bambini uccisi
prendano il latte dai seni assassinati.






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p.s.:
Grazie per essere passati, 
Se avete gradito questo post, perchè non votare qui?

Ve ne sarei molto grata
GRAZIE


domenica 18 marzo 2012

CARI PAPA'

...forse non ci avete mai pensato, ma...


ci sono tante piccole attenzioni che noi grandi rivolgiamo ai nostri cuccioli, magari li consideriamo gesti banali e scontati, però sono il cardine su cui ruota la loro vita.
Anche noi ormai diventati grandi, qualche volta ci  siamo sorpresi a dire: "Questo me lo ha insegnato il mio papà", lo abbiamo detto quasi certamente con tanto rimpianto e nostalgia per le manifestazioni di affetto ricevute allora. Certamente non sono state dimenticate ma sicuramente tutti noi sentiamo ancora molto forte il bisogno di quelle "coccole".
Non ho voglia di ripetere quanto ho già detto in un altro post dedicato a quella figura che è sempre impressa nel nostro cuore. Mi devo fermare: rischio di essere patetica, se proprio lo vorreste leggere è qui.
Vi racconto solo quello che mi ha detto poco tempo fa mia figlia.
S. ormai adulta, ma sempre molto affettuosa e piena di premure per il suo papà (anche per la mamma, a dire il vero), nell'allacciarsi le scarpe ha detto: "Vedi, questo me lo ha insegnato papà, tu non eri capace,  come le annodi tu, io non ci riuscivo, lui sapeva farlo meglio, lui sì che mi capiva e mi capisce!"
Sono tornata indietro nel tempo. L'ho rivista piccina, con le scarpette rosa coi lacci come quelle dei "grandi", con suo padre che le insegnava delle manovre per lei molto importanti che sua madre non era capace di insegnarle. Mio marito, lì chino su di lei tutto complice e sorridente, giusto per coinvolgermi scherzosamente,  le aveva detto: "Sì, le mamme, si danno un sacco di arie, ma non capiscono niente!"
Lei aveva aggiunto: "Sono i papà che sanno fare bene le cose!

....e del mio papà cosa posso dire?

Lui sì che sapeva come si legge l'ora!
Avevo appena imparato i numeri, gli stavo intorno e come al solito mi interessavo del suo inseparabile orologio. Una "cipolla da tasca" comprata quasi un secolo fa, col suo primo stipendio,  e da cui non si era mai separato, (e non lo fece mai, fino al giorno in cui dovette separarsi da tutte le cose di questo mondo).
Non mi rispose esprimendosi vagamente e un pochino infastidito come faceva di solito. Forse aveva capito che era arrivato il momento giusto, o anche per accontentarmi finalmente. Con un tono di voce solenne, ma particolarmente dolce che ancora ricordo, con molta calma e chiarezza,  cominciò a spiegarmi il funzionamento del magico strumento.
Ed io questo momento non l'ho mai dimenticato!

Cari papà, mia madre non lo sapeva fare, era sempre molto nervosa per gli innumerevoli compiti e doveri materni a cui badare, d'altro canto,come tutte le mamme e le mogli. Ma voi non perdete questi momenti memorabili, sono tali per loro, vostri cuccioli, ma sono preziosi e impagabili anche per voi!!!

...... e del vostro papà cosa potete dire?




Scarpette come quelle di S
le vendono ancora!!

La cipolla come quella del mio papà
 (questa è di http://www.arsantik.com.).
La sua, un' Omega, ha una catena di acciaio.
La custodisco ancora io ed è perfettamente funzionante !!

venerdì 17 febbraio 2012

COME HO VINTO UN TABU'


SEMPLICITÀ e RAZIONALITÀ 
qualità giuste che fanno amare la natura


  Eravamo negli anni ’50 in un pomeriggio caldissimo di un’estate senza ricordo di pioggia, in un grosso paese del Sud ad economia prettamente agricola.
  Tante case, tutte risalenti a un secolo prima: un pianterreno a volta altissima, un primo piano con balconi un po’ stretti e privi di vita con finestre sempre chiuse per non far penetrare il caldo insopportabile.
Avevano tutte una bella terrazza da cui si intravvedevano piante ornamentali e altri segni di vita, era lo spazio discreto per i giochi dei piccoli e, perché no, anche dei più grandi.
  Il primo pomeriggio, la “controra”, era un tormento per molti, perché chi non aveva nessuna intenzione di fare il riposino del dopo pranzo (vera tortura) aveva l’obbligo di restare sveglio, ma… mantenendo un silenzio di tomba.
Si poteva leggere, disegnare, scrivere, o sussurrare discorsi, raccontare favole inventate in cui prevalevano mostri, vampiri e tutto nel panorama dei noir che i più grandicelli avevano letto ed assimilato molto bene, oppure avventurarsi in storie o esplorazioni alla maniera di Tom Sawyer e Huckleberry Fin così tanto ammirati ed imitati.
Si giocava anche, col rischio però di essere rimproverati per aver interrotto il sonno di qualcuno dei grandi.

  In uno di quei pomeriggi, nel silenzio assoluto, ad un tratto sentimmo uno sbattere d’ali molto forte accompagnato da un urlo agghiacciante.
Era qualcosa di così raccapricciante che mia madre si era “fiondata” a vedere se stessimo bene. Ci trovò tutti in fila a ridosso del cornicione della terrazza, presi dal terrore tra la curiosità e la meraviglia. Eravamo immobili e fissavamo uno stranissimo e terrificante uccello che si era accomodato sul balcone di fronte e che alla luce del sole ancora forte che lo colpiva di fronte evidenziava tutti i sui magnifici colori. Non avevamo mai visto così da vicino e dal vivo un rapace, tanto meno un “mostro” simile che ci fissava in un modo eccessivamente minaccioso, almeno così ci sembrava visto la nostra “avventurosa” cultura.
La nostra bella ragazza, poco più di trent'anni, una Rita Hayworth versione italiana, aveva nello sguardo un terrore che mascherava con la sua autorevolezza di madre, senza però riuscirci del tutto, gridandoci di allontanarci spaventò solo il rapace che si allontanò desistendo.
Lasciando cadere strategicamente il tutto, ci disse solo che era una civetta e non aggiunse altro.
Semplicemente una civetta?!.
Una civetta come quelle che facevano annunci nefasti e tremendi nei nostri libri preferiti e che avevamo visto al cinema?
Sì, proprio quella.
Ma che ci faceva lì, appollaiata sul balcone di quel “vecchiaccio” che si lamentava sempre di noi perché non lo facevamo riposare nel pomeriggio?
Così tra una fantasia dell’orrore e l’altra, grazie a Dio, eravamo arrivati alla fine della “controra”!
In giro era ritornata la vita normale di sempre, almeno così poteva sembrare.
C’era però un certo movimento sulla porta della casa del “vecchiaccio” che non prometteva niente di buono, però.
La casa di fronte era abitata da due fratelli ed una sorella per noi molto vecchi, (poi sapemmo con certezza che il più grande avevo ottantaquattro anni). Era una famiglia molto ricca e “risparmiosa” dedita alla terra e che abitava da sempre nella casa ereditata dai genitori, ma era un po’ troppo trascurata.
Bene, ci accorgemmo all’improvviso che su quella porta di fronte, non su uno dei portoni dei locali adibiti a deposito di prodotti agricoli, ma sull’ingresso della casa c’era….
…c'era un manifesto di morto!
Sì, inequivocabilmente la civetta aveva annunciato prima del manifesto che la “buonanima” del “vecchiaccio” era passato a miglior vita!
  Per molti anni abbiamo pensato questo per la serie “non è vero ma ci credo”.

  Finché… nel raccontare ai miei figli questa storia, così come la racconto qui, alla fine i miei tre bambini, anzi il maggiore di poco meno di dieci anni, molto perplesso sul fatto di avere una mamma superstiziosa, mi disse testualmente: ”Ma stupida, se al pian terreno custodivano granaglie, sicuramente c’erano anche i topolini, no!, Quale posto migliore per appostarsi aveva la povera civetta se non un balcone deserto in mancanza di alberi?”
Suo fratello minore aggiunse: “Secondo te, eravate così importanti da informarvi subito della morte del vostro vicino? Lei pensava solo alla sua preda come tutti i rapaci, daaii!".

Ecco come ho vinto un tabù!
Ora non mi assale più il terrore per le civette e per tutti gli animali notturni, li amo e li rispetto e loro mi difendono e mi fanno compagnia.