"rascel

«Io prendo manciate di parole e le lancio in aria; sembrano coriandoli, ma alla fine vanno a posto come le tessere di un mosaico».
(Renato Rascel)
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martedì 27 gennaio 2015

PASSATI PER UN CAMINO

"Ancora tuona il cannone,
Ancora non è contenta
Di sangue la belva umana"

 
Per non dimenticare...
ma come si fa a dimenticare?*





Auschwitz (Canzone del bambino nel vento)
Francesco Guccini
[Novembre 1964]
Testo e musica di Francesco Guccini

Son morto con altri cento
Son morto ch'ero bambino
Passato per il camino
E adesso sono nel vento,
E adesso sono nel vento.

Ad Auschwitz c'era la neve
Il fumo saliva lento
Nel freddo giorno d'inverno
E adesso sono nel vento,
E adesso sono nel vento.

Ad Auschwitz tante persone
Ma un solo grande silenzio
È strano, non riesco ancora
A sorridere qui nel vento,
A sorridere qui nel vento

Io chiedo, come può un uomo
Uccidere un suo fratello
Eppure siamo a milioni
In polvere qui nel vento,
In polvere qui nel vento.

Ancora tuona il cannone,
Ancora non è contenta
Di sangue la belva umana
E ancora ci porta il vento,
E ancora ci porta il vento.

Io chiedo quando sarà
Che l'uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E il vento si poserà,
E il vento si poserà.

Io chiedo quando sarà
Che l'uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E il vento si poserà,
E il vento si poserà.

*Gam gam Versione di Morricone
 dal film Jona che visse nella balena (1996)
E' un pezzo del Salmo 23 che le maestre ebree deportate facevano cantare ai bambini nei campi di concentramento.

“Gam Gam Gam Ki Elekh
Be Be Ge Tzalmavet
Lo Lo Lo Ira Ra’
Ki Atta’ Imadi’
Ki Atta’ Imadi’
Shivtekha Umishantecha
Hema Hema Inaktamuni'”


Traduzione.

“Anche se andassi
per le valli più buie
di nulla avrei paura
perché tu sei al mio fianco.
Se tu sei al mio fianco
il tuo bastone
il tuo bastone mi dà sicurezza”.

martedì 28 ottobre 2014

e... voila!

Eccomi di ritorno!
Mi sono fatta prendere da una sana pigrizia.
Un po' di ozio forse mi ci voleva, ma con l'ozio non si deve esagerare se è troppo può anche nuocere.
Ho sentito il bisogno di ritornare al mio solito carpe diem.
Mi sono resa conto che i ricordi cominciavano a prendere il posto predominante della giornata, come se i fantasmi si facessero sempre più pressanti distogliendomi dalla realtà.
Troppi sono stati gli eventi che hanno contribuito al mio stato d'animo. Sono fatti della vita che accadono a tutti, nascite, morti, incontri di persone lontane perdute di vista da molto tempo. Ma io non ne voglio parlare, non ci casco.
Solo vi propongo di gustare questi due video-capolavori che sono diventati i motivi conduttori di questo mio periodo.
Non fatevi prendere solo dalla melodia i versi sono ammirevoli leggeteli col cuore .
"Tiempe belle e na vote" antico classico napoletano che in un verso rende in sintesi il mio stato d'animo.
"In my life" dei Beatles è sempre stata la colonna sonora dei miei momenti di nostalgia.



TIEMPE BELLE E NA VOTE 
Tempi Belli Di Un Tempo
(di Aniello Califano 1916)
(traduzione di Cle Reveries)

Tu mme vuó fa capì ca si’ cuntenta.
Tu mi vorresti far capire che sei contenta.
I’ voglio fà vedé ca so’ felice.
io vorrei far vedere che sono felice.
Ma ‘a verità nisciuno ‘e nuje nun dice.
Ma la verità nessuno di noi la dice.
Sti core nuoste avesser’ ‘a parlà.
Se dovessero parlare questi nostri cuori . 

Tiempe belle e na vota,
Tempi belli di un tempo,
tiempe belle addó’ state?
Tempi belli dove siete?
Vuje nce avite lassate,
voi ci avete lasciato,
ma pecché nun turnate?
ma perchè non ritornate?
Tiempe belle e na vota,
Tempi belli di un tempo,
tiempe belle addó’ state?
tempi belli dove siete?
Vuje ce avite lassate,
Voi ci avete lasciato,
pecché nun turnate?
perchè non ritornate?

Mo pe’ sfurtuna mia stóngo cu n’ata,
Ora per mia sfortuna sto conun'altra
pe’ nu capriccio tu cu n’ato staje.
per un capriccio stai con un altro.
Se sònna chella ca nn’ ‘a lasso maje
Si sogna quella che non lascio mai
e se lusinga chillo ‘mbraccio a te.
e si lusinga quello che è tra le tuebraccia.

Tiempe belle e na vota,
Tempi belli di un tempo,
tiempe belle addó’ state?
tempi belli dove siete?
Vuje nce avite lassate,
voi ci avete lasciato,
ma pecché nun turnate?
ma perchè non ritornate?
Tiempe belle e na vota,
Tempi belli di un tempo,
tiempe belle addó’ state?
tempi belli dove siete?
Vuje ce avite lassate,
Voi ci avete lasciato,
pecché nun turnate?
perchè non ritornate?

Nuje pe’ vulerce bene simmo nate,
Noi siamo nati pervolerci bene,
facìmmole cuntente chisti core,
accontentiamo questi cuori
turnammo n’ata vota a chill’ammore
torniamo un'altra volta a quell'amore
ca, pe’ destino, nun ce vò’ lassà.
che per destinonon ci vuole lasciare.

Tiempe belle e na vota,
Tempi belli di un tempo,
tiempe belle addó’ state?
Tempi belli dove siete?
Vuje nce avite lassate,
voi ci avete lasciato,
ma pecché nun turnate?
ma perchè non ritornate?
Tiempe belle e na vota,
Tempi belli di un tempo,
tiempe belle addó’ state?
tempi belli dove siete?
Vuje ce avite lassate,
Voi ci avete lasciato,
pecché nun turnate?
perchè non ritornate?

...e questa non la dimentico mai...





In My Life - The Beatles (1965)
Nella Mia Vita
(trad. di Cle Reveries)
There are places I'll remember all my life, 
Ci sono posti che ricorderò per tutta la vita,
though some have changed. Some forever not for better
sebbene  qualcuno sia cambiato.Qualcuno per sempre, non in meglio.
some have gone and some remain.

Qualcuno se ne è andato, qualcuno è rimasto.


All these places have their moments

Tutti questi luoghi hanno i propri momenti
with lovers and friends I still can recall.

Con amori e amici che ancora posso ricordare
Some are dead and some are living,
Qualcuno è morto, qualcuno è vivo.
In my life I've loved them all.
Nella mia vita li ho amati tutti.

But of all these friends and lovers
Ma tutti questi posti hanno i propri momenti
there is no one compares with you.
non c'è nessuno paragonabile a te. 
And these memories lose their meaning
E questi ricordi perdono di significato 
when I think of love as something new.
quando penso all'amore come qualcosa di nuovo.

Though I know I'll never lose affection
Anche se so  che non perderò l'affetto
for people and things that went before

per le persone e le cose che sono passate
I know I'll often stop and think about them

So che mi fermerò spesso a pensare a loro
in my life

Nella mia vita
I love you more.
Vi amerò di più.

martedì 18 marzo 2014

FATHER AND SON





Cari papà,...forse non ci avete mai pensato, ma...
ma ci sono tante piccole attenzioni che noi grandi rivolgiamo ai nostri cuccioli, magari li consideriamo gesti banali e scontati, però sono il cardine su cui ruota la loro vita.
Anche noi ormai diventati grandi, qualche volta ci  siamo sorpresi a dire: "Questo me lo ha insegnato il mio papà", lo abbiamo detto quasi certamente con tanto rimpianto e nostalgia per le manifestazioni di affetto ricevute allora. Certamente non sono state dimenticate ma sicuramente tutti noi sentiamo ancora molto forte il bisogno di quelle "coccole".
Non ho voglia di ripetere quanto ho già detto in un altro post dedicato a quella figura che è sempre impressa nel nostro cuore. Mi devo fermare: rischio di essere patetica, se proprio lo vorreste leggere è qui.
Vi racconto solo quello che mi ha detto poco tempo fa mia figlia.
S. ormai adulta, ma sempre molto affettuosa e piena di premure per il suo papà (anche per la mamma, a dire il vero), nell'allacciarsi le scarpe ha detto: "Vedi, questo me lo ha insegnato papà, tu non eri capace,  come le annodi tu, io non ci riuscivo, lui sapeva farlo meglio, lui sì che mi capiva e mi capisce!"
Sono tornata indietro nel tempo. L'ho rivista piccina, con le scarpette rosa coi lacci come quelle dei "grandi", con suo padre che le insegnava delle manovre per lei molto importanti che sua madre non era capace di insegnarle. Mio marito, lì chino su di lei tutto complice e sorridente, giusto per coinvolgermi scherzosamente,  le aveva detto: "Sì, le mamme, si danno un sacco di arie, ma non capiscono niente!"
Lei aveva aggiunto: "Sono i papà che sanno fare bene le cose!

....e del mio papà cosa posso dire?

Lui sì che sapeva come si legge l'ora!
Avevo appena imparato i numeri, gli stavo intorno e come al solito mi interessavo del suo inseparabile orologio. Una "cipolla da tasca" comprata quasi un secolo fa, col suo primo stipendio,  e da cui non si era mai separato, (e non lo fece mai, fino al giorno in cui dovette separarsi da tutte le cose di questo mondo).
Non mi rispose esprimendosi vagamente e un pochino infastidito come faceva di solito. Forse aveva capito che era arrivato il momento giusto, o anche per accontentarmi finalmente. Con un tono di voce solenne, ma particolarmente dolce che ancora ricordo, con molta calma e chiarezza,  cominciò a spiegarmi il funzionamento del magico strumento.
Ed io questo momento non l'ho mai dimenticato!

Cari papà, mia madre non lo sapeva fare, era sempre molto nervosa per gli innumerevoli compiti e doveri materni a cui badare, d'altro canto,come tutte le mamme e le mogli. Ma voi non perdete questi momenti memorabili, sono tali per loro, vostri cuccioli, ma sono preziosi e impagabili anche per voi!!!

...... e del vostro papà cosa potete dire?


La cipolla come quella del mio papà
 (questa è di http://www.arsantik.com.).

La sua, un' Omega, ha una catena di acciaio.

La custodisco ancora io ed è

 perfettamente funzionante !!





le vendono ancora!!







FATHER AND SON

Father 
It's not time to make a change, 
Just relax, take it easy. 
You're still young, that's your fault, 
There's so much you have to know. 
Find a girl, settle down, 
If you want you can marry. 
Look at me, I am old, but I'm happy. 

I was once like you are now, and I know that it's not easy, 
To be calm when you've found something going on. 
But take your time, think a lot, 
Why, think of everything you've got. 
For you will still be here tomorrow, but your dreams may not. 

Son 
How can I try to explain, when I do he turns away again. 
It's always been the same, same old story.
From the moment I could talk I was ordered to listen. 
Now there's a way and I know that I have to go away. 
I know I have to go. 

Father 
It's not time to make a change, 
Just sit down, take it slowly. 
You're still young, that's your fault, 
There's so much you have to go through. 
Find a girl, settle down, 
if you want you can marry. 
Look at me, I am old, but I'm happy. 

Son 
All the times that I cried, keeping all the things I knew inside, 
It's hard, but it's harder to ignore it. 
If they were right, I'd agree, but it's them you know not me. 
Now there's a way and I know that I have to go away. 
I know I have to go.


PADRE E FIGLIO
TRADUZIONE
di Cle Reveries

Padre 
Non è il momento di fare cambiamenti,
Rilassati, prenditela tranquillamente. 
Sei ancora giovane, questa è la tua colpa, 
C'è ancora tantissimo che devi sapere, 
Trova una ragazza, metti su casa, 
Se vuoi puoi sposarti. 
Guarda me, sono vecchio, ma sono felice 

Un tempo ero come  sei ora tu, e so che non è facile, 
Stare calmi quando si trova qualcosa da fare
Ma prendi tempo, pensaci molto 
Perchè? pensa a tutto quel che hai avuto. 
Per te sarà ancora qui il tuo domani, ma forse non i tuoi sogni 

Figlio 
Come posso provare a spiegarglielo?
Quando lo faccio lui se ne va di nuovo da un'altra parte 
Ed è sempre stato così. 
La stessa vecchia storia 
Dal momento in cui ho cominciato a parlare mi è stato ordinato di ascoltare
Ora che c'è una opportunità, io so che devo andarmene 
Io so che devo andare 

Padre 
Non è il momento di fare cambiamenti,
Solo sietidi, prenditela con calma
Sei ancora giovane, è questo il tuo problema 
C'è così tanto su cui devi riflettere 
Trova una ragazza, metti su casa,
Se vuoi puoi sposarti 
Guarda me, sono vecchio, ma sono felice 

Figlio
Tutte le volte che ho pianto, tenendomi dentro tutto quello che sapevo
Ed è duro, ma è più duro ignorarlo
Se fosse stato giusto, io sarei stato d'accordo, ma tu lo sai non lo era per me.  
Ora che c'è una opportunità, io so che devo andarmene 
Io so che devo andare. 



martedì 4 marzo 2014

... dopo due anni sei ancora con noi... ci fai da guida, ci dai emozioni... come sempre

COME LA PRIMA VOLTA CHE L' HO INCONTRATO

LA MORTE E' SOLO LA FINE DEL PRIMO ATTO DELLA VITA”
Così ha considerato la vita,
e questo lo ha insegnato anche a me.

In un periodo di sfrenate contestazioni di stupidi modelli involuti e stantii, prendendomi per mano come fa un fratello maggiore, lui  mi ha suggerito il modo di vedere la vita così, come l'aveva sempre vista, con gli occhi e il buonsenso umano, senza pregiudizi e bigottismi, dogmi e misteri.
Ha insegnato ad una intera generazione ad assaporare la bellezza per poi continuare a viverla senza vergognarsene, proprio perchè esiste una morale positiva in tutto quello che ci è stato messo a disposizione.
…e so con certezza che ha tenuto per mano anche i miei giovani, per questo gli sarò sempre grata.




Lucio Dalla, il fratello maggiore di tutti noi. Quando ero ancora inesperta e molto vulnerabile, l'ho incontrato così, con questa canzone, "4 Marzo 1943", il suo aspetto naif, una voce particolarmente penetrante e un nuovo modo di cantare fatti e persone da menestrello. 
L'ho ascoltato ed ho accolto subito il suo invito alla riflessione sui problemi sociali del mio tempo.
Non era giusto, infatti, considerare frutto del peccato il bimbo nato da un incontro di due persone non sposate. Non era da considerare come un tabù o qualcosa di molto imbarazzante da dover essere accettato come un peccato mortale, l' incontro tra un soldato americano e una brava ragazza italiana in una realtà come quella della nostra seconda guerra mondiale.
La narrazione di una realtà pura e semplice senza malizie e pregiudizi, sembrava squarciare i veli di una educazione amorevole ma falsa. Non era una canzone che attestava con ironia e un pizzico di malizia con allusione indiretta ai pregiudizi dei contemporanei, come era avvenuto con la "Tamburriata" di grande e innegabile valore, ma sempre pura narrazione in un'ottica stereotipata.
Subito, al suo primo ascolto, ho notato qualcosa di più significativo: un ribadire che tutti i cuccioli d'uomo sono "Gesùbambino", non disgrazie o figli del peccato.
Così, prendendo per mano tutti gli uomini di buona volontà, al suono di una perfetta musica, come un onesto "pifferaio Magico", ci ha fatto comprendere che tutti i bambini sono attesi con amore dalla propria mamma, e che ogni mamma è grande proprio per questo.
Cantando senza ipocrisia o falso moralismo ci ha raccontato di questa ragazzina che aveva conosciuto il segreto della vita per eccellenza (quella con la V maiuscola intendiamoci), nella sua bellezza e nell'incanto in attimi dolcissimi, come ricordo di tanta emozione e come dono graditissimo, aveva avuto un "Bambinello" che le aveva motivato la sua esistenza.
Lo aveva atteso nel disagio più squallido (una taverna) e "l'unico vestito che aveva addosso" le segnava il tempo della gestazione divenendo "sempre più corto".
Ed ancora, lo aveva tirato su con il suo amore, l'affetto e la comprensione di una collettività semplice e solidale come i pastori che accolsero il Figlio di Dio.
Non so se sia facile comprendere cosa sia stata questa narrazione per me ancora adolescente, educata alla conoscenza dei valori dell' esistenza umana da persone impreparate, o spaventate, ma soprattutto in una scuola ancora molto lontana dal capire cosa significhi educare i giovani alla vita .
Era ancora la scuola fascista del "credere e obbedire"!

...e non so se possa bastare il mio semplice 
GRAZIE 
detto con tutta la riconoscenza che ti devo, mio caro fratello maggiore,
ma tu mi hai insegnato che la semplicità è la via più diretta che va al cuore!!! 

venerdì 1 novembre 2013

...perchè "Halloween" e non "Tutti i Santi" ?

(Post pubblicato l'anno scorso e che ripropongo)


Halloween (o Hallowe'en) è principalmente celebrata negli Stati Uniti la notte del 31 ottobre ed è un retaggio culturale antichissimo di tradizione celtica ed anglosassone. Ormai la conosciutissima zucca intagliata, Jck-o'-lantern, è il risaputo simbolo della ricorrenza. Da noi, fino a poco tempo fa, veniva confezionata per scherzi nelle feste goliardiche o a carnevale. Era sempre un successo per la sua macabra allegria.
Io preferisco la vecchia maniera, la considero la festa dei Santi o "I Morti".
Non vedo la necessità di seguire e far proprie le tradizioni altrui: "diamo a Cesare quello che è di Cesare".

Mi piace vedere Halloween nei film americani o sui blog dei miei amici di tradizione anglosassone. A tal proposito, se volete, visitate questo di Jina che è del mio stesso parere su questa festa, lei ha solo contribuito al divertimento delle sue bambine mascherandole come loro desideravano.

Comunque più o meno in questo periodo anticamente c'erano festività che si caratterizzavano con la presenza di maschere più o meno macabre.
Tra gli antichi Romani alla'inizio dell'inverno c'era Pomana, la festività dedicata alla dea dei semi e dei frutti , e verso febbraio ce ne era un'altra, Parentalia, dedicata ai defunti.

Nella cultura celtica, (circa duemila anni fa) in cui il capodanno era il 1° novembre e coincideva con l'inizio dell'inverno, col 31 ottobre finiva quindi l'estate, stagione viva e piena di luce. Il tetro inverno agli antichi Celti ricordava moltissimo  la morte. A quella latitudine, costretti al buio per gran parte della giornata era quindi molto facile pensare al dominio degli spiriti sull'uomo e sulla natura, sui raccolti e sulla vita futura nel nuovo anno ed era a proposito Samhain, la festa di fine estate, che cadeva proprio il 31 ottobre.

 Con l'avvento del Cristianesimo nel nord Europa, Papa Gregorio III nel VIII secolo dette una veste cattolica alla festa pagana di Samhain mettendo la  festa di Ognissanti il 1° novembre invece del 13 maggio in precedenza osservata dalla Chiesa, e a perfezionare il tutto la fece seguire dalla Commemorazione dei Defunti. Si veniva a conciliare così una tradizione cristiana con la festa pagana di Samhain, addirittura per togliere ogni alone pagano e allo scopo di sradicarla dalla cultura popolare, la istituì come festa di precetto nell’840.
Halloween, però, ha origini più recenti, risalendo al XVI secolo circa. Il nome deriva dallo scozzese All-Hallows-Even (All Saint Evening), la notte che precede Ognissanti, è intuibile che con la scoperta dell'America abbia assunto la cittadinanza americana a tutti gli effetti.

In Italia ci sono molte feste popolari di inizio d'inverno legate al ricordo dei morti sempre di tradizione remotissima .
Is Animmeddas, Su mortu mortu, Su Peti Cocone, Su Prugadoriu o Is Panixeddas, in Sardegna è molto caratteristica.. 

Ad Orsara di Puglia, un paesino montano della provincia di Foggia, la notte tra l'1 ed il 2 di novembre si celebra l'antichissima notte del "fuc a cost" (fuoco fianco a fianco) con dei falò accesi sull'uscio di ogni casa per far luce ai cari defunti (o anime del purgatorio) ritornati dall'aldilà per visitare gli abitanti del paese.
Il fuoco serve anche a cucinare qualcosa da offrie ai vicini e ai passanti.
Il'1°, in piazza c'è anche la gara delle zucche decorate (le "cocce priatorje" - le teste del purgatorio) tradionale gara che risale alla notte dei tempi.


Scusate la qualità dei video, del secondo  mi sembra in tema solo la prima parte, ma questo passa il convento!

venerdì 25 ottobre 2013

...oggi mi sento così.

Essenzialmente un po' malinconica e molto triste.
Motivo?
Non lo so, forse troppe piccole amarezze dovute a svolte deludenti personali (sfortuna?), o alla  malattia di una mia cara amica (Anita Johnson), o alla perdita di alcuni miti così vivi nella mia famiglia quale è stato Zuzzurro, mio coetaneo che insieme a Gaspare è stato molto presente nelle prime esperienze di telespettatori dei miei figli.
...ma io mi sento così: 




lunedì 30 settembre 2013

"Le quattro giornate di Napoli - La rivolta contro gli occupanti tedeschi. 28 settembre - 1° ottobre 1943"


Per me non è solo una ricorrenza storica. E' parte della mia storia personale vissuta indirettamente attravero i ricordi e i racconti della mia famiglia. Vita vera, impressa nella mia memoria in modo indelebile. La paura, la miseria, i traumi, lo squallore dei ricoveri e l'indigenza incui riversava una città dal secolare fulgore, punto di riferimento culturale ed esempio di creatività e valore, sono  annullati da una guerra scellerata. 
In questo documentario Rai da "La Storia siamo noi" c'è tutta la passione dei napoletani che hanno sentito i dovere umano di ribellarsi trovando la forza nella rabbia e nel senso di libertà insito nella dignità umana.
Il video e il commento sembrano lo sfondo per il mio post "Perchè la guerra " che ho già pubblicato e che ripropongo, la giovane donna è mia madre che ritrovo nei personaggi di questo impareggiabile documentario.

"Una città sotto assedio, bersaglio dichiarato di tutti gli eserciti, degli alleati come dei nazisti. Questa è Napoli nei suoi giorni più difficili, dopo l'armistizio dell'8 settembre '43. La città vive ore drammatiche in attesa di una liberazione che non sembra arrivare mai mentre si susseguono distruzioni su vasta scala, rastrellamenti e deportazioni di civili da parte tedesca.
E così, dal 28 settembre al 1° ottobre 1943, i napoletani decidono di impugnare le armi e di combattere strada per strada, vicolo per vicolo contro gli ex alleati divenuti a tutti gli effetti occupanti. Alla fine, in più di trecento pagheranno questa scelta con la vita.
La cronaca di quelle quattro tragiche giornate rivive, ora per ora, nel documentario di Aldo Zappalà  premiato con Targa d'argento al merito del Presidente della Repubblica. È un racconto che ci riporta tra le strade del capoluogo campano proprio nel momento in cui la sommossa spontanea si salda alle azioni isolate della resistenza clandestina, in una sollevazione popolare che coinvolge senza distinzioni operai, intellettuali, ufficiali e soldati allo sbando.
Ma il dramma di Napoli, in realtà, è cominciato pochi mesi dopo lo scoppio della guerra, quella guerra che secondo la propaganda di regime avrebbe dovuto concludersi in poche settimane. E invece, tra l'autunno del 1940 e la primavera del 1944, Napoli subirà più di cento bombardamenti, da parte dell'aviazione inglese, americana ma anche della Luftwaffe.
Il più grave, il 4 dicembre del 1942, causa tremila morti, ma resta nella memoria collettiva anche quello che provoca l'esplosione della nave militare Caterina Costa, i cui resti vengono rinvenuti persino al Vomero, nella parte collinare della città. 
All'indomani dell'armistizio del '43, dunque, molti napoletani hanno lasciato la città, ma altrettanti sono rimasti, decisi a darsi un'organizzazione e ad opporsi alle autorità tedesche che il 13 settembre li minacciano apertamente: 'ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte', recita un bando dellaWermacht.
Dal 27 settembre inizia una vera e propria caccia all'uomo, senza distinzione d'età: diciottomila persone sono fermate, portate via, arrestate. I nazisti procedono anche alla distruzione sistematica delle fabbriche e del porto. Poi, alla notizia dell'esecuzione spietata di un giovane marinaio coinvolto nella resistenza, esplode la rivolta. In breve l'intera città è in prima linea, si alzano le barricate in tutti i quartieri e per quattro giorni i napoletani tengono duro fino a costringere i tedeschi alla resa.
Poche ore dopo, con l'arrivo degli americani, ha inizio il lungo e faticoso cammino verso la normalità, tra cumuli di macerie, apocalittiche eruzioni del Vesuvio, mercato nero, prostituzione ed epidemie, come quella di tifo petecchiale, che le autorità americane sconfigerranno solo irrorando quintali di DDT su oltre seicentomila napoletani."

PERCHE’ LA GUERRA?



Non ce lo ha mai detto direttamente, ma noi lo sapevamo, sapevamo tutto di lei.

Quando parlava con le sue amiche noi eravamo sempre con lei, molto spesso stavamo lì per curiosità, o per “educazione”, cioè era la buona educazione che lo imponeva.
Era interessante conoscere le banalità quotidiane delle famiglie delle sue amiche. A quei tempi, noi non avevamo la televisione così gli spettacoli ce li facevamo da soli. Ci erano utili quei momenti, attingevamo da lì le battute per gli sketch del nostro cabaret privato.
Nei momenti in cui i loro discorsi si facevano più interessanti, o meglio, più importanti per noi, mia madre improvvisamente ricordava di aver dimenticato una commissione o un accidente qualsiasi e con urgenza venivamo allontanate per uscire e svolgere il suo compito.
Proprio quella mancanza di garbo ci insospettiva tanto: era tutto chiaro. Sapevamo bene, e già da molto tempo, che era giunto il momento per levarci di torno, ci alzavamo senza batter ciglio. Facevamo finta di uscire, sbattevamo le varie porte, ritornavamo indietro in punta di piedi e ascoltavamo
 in silenzio.
Erano quasi sempre le stesse storie piene di sospetti tradimenti, presunte tresche, insomma, quello che ora liberamente circola sui nostri rotocalchi e in certi talkshow televisivi.
Da loro ho sempre saputo dell'esistenza di "festini", "party a luci rosse" e relazioni omosessuali, tutto studiato poi 
a scuola nelle biografie di scrittori e poeti illustri  o letti nei romanzi d'autore messi all'indice.

Perciò noi sapevamo sempre tutto!
Non ho mai capito come riuscisse a mantenere la sua ferma autorevolezza di mamma e la sua amichevole complicità col suo gioioso modo di considerarci sue amiche.
Con noi forse, anche lei scopriva il mondo. 

Era molto ingenua, nelle conversazioni "proibite" che ascoltavamo la sentivamo ripetere, con voce sinceramente incredula:"Ma no !? non è possibile, sono esagerazioni o fantasie di gente poco seria e cattiva, non si può credere a certe volgari fantasie. No, non dobbiamo crederci!"

Lei era ancora una ragazzina, aveva avuto la sua prima figlia a diciotto anni, (a quei tempi ci si sposava quasi adolescenti) e si era anche in un periodo in cui si doveva credere che i bambini nascevano sotto il famoso "cavolo" e avere un amichetto, cioè amico maschio piccolo, non era del tutto "per bene".


Aveva seguito suo marito in una città molto diversa dal luogo in cui aveva vissuto. Ci era arrivata un anno prima che iniziasse la seconda guerra mondiale e Napoli con la sua gente così viva ed allegra l’aveva conquistata subito.
Non aveva mai smesso di amarla, aveva 
sempre ammirato quel luogo di estrema bellezza, quella Via Caracciolo frequentata dai grandi personaggi, artisti, poeti, scrittori che si incontravano e si fermavano con la gente comune. Spesso raccontava  del grande Benedetto Croce, quel signore anziano che veniva a sedersi sulla sua panchina e giocava con noi come un semplice nonno e con lei si soffermava sulle cosiderazioni sociali del momento.
Ammirava quella gente che sapeva soffrire la fame, gli stenti con serenità, e nella distruzione e nel caos era sempre piena di speranza e orgoglio per un passato ricco di cultura e arte.

 La guerra crudelmente stava sgretolando tutto sotto i loro occhi, ma non si erano mai arresi.
I bombardamenti continui sulla città non impedivano ai napoletani rinchiusi nei ricoveri sotterranei di continuare a vivere e a sognare.
Lì sotto c'era tutto il quartiere che continuava a vivere, anche senza vedere il sole o sentire la brezza del mare. Le sue attività consuete animavano quel luogo squallido e affollato. Nella promiscuità assoluta ognuno dimostrava una apparente noncuranza per ciò che accadeva fuori.
C’era chi cantava le sue composizioni chiedendo il parere dei presenti, chi intonava motivi famosi, chi recitava poesie, chi dava lezioni di musica o canto e qualcuno anche quelle delle materie scolastiche: era "o professor". Molti svolgevano normali attività manuali, le donne lavoravano a maglia confrontandosi o si scambiavano pareri e consigli tecnici. C'era anche chi spettegolava, chi litigava e chi dormiva. I bambini tranquillamente facevano la loro solita vita. 

Tutto questo ce lo raccontava sempre, forse sapeva che non lo avrebbe mai dimenticato.
Ma ciò che le accadde quel giorno non ha avuto mai la forza di dircelo, di dircelo guardandoci negli occhi...

.....sì quel giorno aveva fatto tardi. Si era avviata all'ultimo segnale dell'orribile sirena che avvertiva dell'arrivo degli aerei con le loro bombe che mettevano in forse le sorti delle abitazioni lasciate così..scappando via senza un attimo di esitazione.
E sì che aveva sentito alla radio il temutissimo "Maria che si prepari" di Radio Londra, sapeva che doveva affrettarsi, essere veloce come il vento perchè c'erano molte probabilità di non farcela. 

Con una neonata e un'altra bambina di tre anni era proprio difficile prevedere tutto e prepararsi  per essere pronti a scappare.
Quella volta non ce la fece. Aveva affidato la maggiore delle mie sorelle con tutto il necessario di sopravvivenza ai suoi amici, le davano sempre una mano e tanto coraggio, così lei era rimasta a sistemare l'altra piccola di pochissimi mesi.

Era scesa giù con la bimba abbracciata forte a lei sotto la sua pelliccia, ormai diventata la sua seconda pelle, la indossava per quelle dannate corse due o tre volte al giorno e la teneva su ore ed ore laggiù in quella strana bolgia,  fino all'annuncio dello scampato pericolo.
Aveva sentito il frastuono degli aerei che si avvicinavano col loro carico di morte ed avanzavano a volo radente sparando all'impazzata.

Si era buttata giù per terra, appiattendosi sotto il marciapiede di una strada principale di Napoli tenendo la sua bimba stretta stretta a lei, pregava aspettando Sorella Morte.
Guardando verso il cielo vide "l'alleato americano", un ragazzo anche lui, ubriaco fradicio che sghignazzava e urlava a squarciagola. L'aveva presa di mira e sparava contro di lei preso dalla furia della sua esaltazione, divertendosi in modo scellerato, senza fortunatamente colpirla.
Stette lì immobile finchè l'altro non ritenne opportuno smettere con lei forse per cambiare divertimento.

Quando fu finita quell'incursione si alzò incredula per ciò che aveva vissuto e ancora con l'immagine di quel ragazzo che giocava con la sua vita e quella di sua figlia divertendosi e sollazzandosi, si avviò nella devastazione totale che la circondava.

Raggiunse gli altri, riabbracciò finalmente la sua piccola che aveva temuto di non rivedere mai più e tra l'affetto e le coccole di quella "gente tutto cuore" riprese la vita di sempre. 

Forse mia madre non ha mai dimenticato, ma anche noi non abbiamo dimenticato, anzi per me la sua disavventura è stata la ragione del mio odio per la guerra.
Lei non ci aveva detto niente, non aveva coltivato l'odio per quel soldato sciagurato  perchè sapeva che così è la guerra!


LA PAROLA GUERRA MI FA INORRIDIRE. COLPISCE PROFONDAMENTE SOLO GLI INNOCENTI ED ESALTA I MALI DELLA TERRA.



mercoledì 11 settembre 2013

CON TUTTO IL CUORE: TANTI AUGURI SCUOLA !

... mai come ora ne hai bisogno!
Nel mio surfing quotidiano mi sono imbattuta in  questo video di YouTube (http://www.youtube.com/watch?v=Dyk0H1_EXuU). Ve lo propongo, è adatto per tutte le età: ci siamo passati tutti.
Come dice Barbara Caci  che lo ha pubblicato, è un regalo.
...io l' ho accolto proprio come regalo ad una "vecchia" mamma , insegnante affetta da "sindrome scolastica acuta" che non smette di amare e odiare la scuola.



Ecco la presentazione del video con le raccomandazioni sempre valide di Abraham Lincoln.
Bene, è proprio quello che ho sempre pensato e sostenuto e per cui molto spesso anche lottando.

Pubblicato in data 11/ago/2013
"Un regalo per tutti i genitori, ma soprattutto per gli insegnanti che si prendono cura di bambini e i ragazzi con dedizione e considerano il loro lavoro come una "missione".
"Il carattere funzionale dell'insegnamento riduce l'insegnante a un semplice impiegato. Il carattere professionale dell'insegnamento porta a ridurre l'insegnante all'esperto. L'insegnamento deve ridiventare non più solamente una funzione, una specializzazione, una professione, ma un compito di salute pubblica: una missione.
Una missione di trasmissione.
La trasmissione richiede certamente competenza, ma richiede anche, oltre a una tecnica, un'arte.
Essa richiede ciò che nessun manuale spiega, ma che Platone aveva già indicato come condizione indispensabile di ogni insegnamento: l'eros, che è allo stesso tempo desiderio, piacere e amore, desiderio e piacere di trasmettere amore per la conoscenza e amore per gli allievi. L'eros permette di tenere a bada il piacere legato al potere, a vantaggio del piacere legato al dono. È ciò che in primo luogo può suscitare il desiderio, il piacere e l'amore dell'allievo e dello studente.
Là dove non c'è amore, non ci sono che problemi di carriera, di retribuzione, di noia per l'insegnamento.
La missione suppone evidentemente la fede, in questo caso la fede nella cultura e nelle possibilità della mente umana."
(Da Edgar Morin, "La testa ben fatta", Raffaello Cortina Editore)"

Lettera all'insegnante di suo figlio
(Abraham Lincoln Hodgenville, Kentucky, USA 12/2/1809 – Washington, USA 15/4/1865)

Dovrà imparare, lo so, che non tutti gli uomini sono giusti, che non tutti gli uomini sono sinceri.
Però gli insegni anche che per ogni delinquente, c’è un eroe;
che per ogni politico egoista c’è un leader scrupoloso
Gli insegni che per ogni nemico c’è un amico,
cerchi di tenerlo lontano dall’invidia, se ci riesce,
e gli insegni il segreto di una risata discreta.
Gli faccia imparare subito che i bulli sono i primi ad essere sconfitti.
Se può, gli trasmetta la meraviglia dei libri.
Ma gli lasci anche il tempo tranquillo per ponderare l’eterno mistero degli uccelli nel cielo, delle api nel sole e dei fiori su una verde collina.
Gli insegni che a scuola è molto più onorevole sbagliare piuttosto che imbrogliare.
Gli insegni ad avere fiducia nelle proprie idee, anche se tutti gli dicono che sta sbagliando.
Gli insegni ad essere gentile con le persone gentili e rude con i rudi.
Cerchi di dare a mio figlio la forza per non seguire la massa, anche se tutti saltano sul carro del vincitore.
Gli insegni a dare ascolto a tutti gli uomini,
ma gli insegni anche a filtrare ciò che ascolta col setaccio della verità, trattenendo solo il buono che vi passa attraverso.
Gli insegni, se può, come ridere quando è triste.
Gli insegni che non c’è vergogna nelle lacrime.
Gli insegni a schernire i cinici ed a guardarsi dall’eccessiva dolcezza.
Gli insegni a vendere la sua merce al miglior offerente, ma a non dare mai un prezzo al proprio cuore e alla propria anima.
Gli insegni a non dare ascolto alla gentaglia urlante e ad alzarsi e combattere, se è nel giusto.
Lo tratti con gentilezza, ma non lo coccoli, perché solo attraverso la prova del fuoco si fa un buon acciaio.
Lasci che abbia il coraggio di essere impaziente.
Lasci che abbia la pazienza per essere coraggioso.
Gli insegni sempre ad avere una sublime fiducia in sé stesso,
perché solo allora avrà una sublime fiducia nel genere umano.
So che la richiesta è grande, ma veda cosa può fare.
E’ un così caro ragazzo, mio figlio!

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Quale chiosa per questo difficilissimo e delicato argomento potrebbe essere più giusta ed opportuna del commento di una mamma, di un'amica blogger delicata e sensibile,  Catherine Sinclair (alias Mari di "dalla mia terra alla tua" ), che mi ha letteralmente commossa dando voce ai miei sentimenti di insegnante verso i miei studenti ormai genitori in campo?
Uso le sue parole per dire GRAZIE.

"Grazie cari alunni di esserci stati in questo cammino,
grazie di averci ricordato con la vostra presenza che
educare è accompagnare e poi lasciare...."

E' il messaggio  delle maestre a suo  figlio (e a tutta la sua classe) alla fine del ciclo scolastico della scuola elementare dopo cinque anni di conquiste reciproche.
Ecco, forse è meglio riportare tutto il testo.
"Il tempo è passato velocemente.
Ogni giorno si è aggiunto al successivo
come le perline colorate in un filo che non diventa mai collana.
Un filo aperto sull'oggi che è già domani,
che si allunga, si intreccia, si rompe, si disfa e di nuovo si tesse
in una lunga tela che ci racconta nella storia semplice di questi cinque anni insieme.
Una tela che ci porteremo sempre con noi e ci dice che quel filo, come quello di un aquilone
ora lo dobbiamo lasciare andare, perchè lo chiama un altro vento che
lo spingerà lontano.
Un'opera incompiuta la nostra, incompleta, aperta al domani.
Così deve essere! Le vostre maestre si fermano qui.
Mettiamo il punto. Punto e basta!
Perchè la nostra è una storia che continua.
Belli, irripetibili siete stati per noi, diversi ed unici nel modo d'essere,
ma uguali nel sentimento che proviamo per ciascuno di voi.
Dove noi finiamo, in un altro modo, inizia il vostro futuro.
Grazie cari alunni di esserci stati in questo cammino,
grazie di averci ricordato con la vostra presenza che
educare è accompagnare e poi lasciare...."


Grazie Mari