"rascel

«Io prendo manciate di parole e le lancio in aria; sembrano coriandoli, ma alla fine vanno a posto come le tessere di un mosaico».
(Renato Rascel)
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mercoledì 28 maggio 2014

"...tutta questa tecnologia è solo un'illusione"

"Un mondo di interessi personali, selfie, autocelebrazione, in cui tutti condividiamo le nostre parti migliori, lanciando fuori l'emozione. .....ci vedono vivere come robot e pensano sia normale......."

Sono parole sagge del video pubblicato qui  da rodixidor, alias paracqua, una esortazione a ritornare ad essere UOMINI.

Ringrazio il mio amico per l'opportunità che mi ha offerto, ne avevo proprio bisogno.

Ho guardato le immagini e ascoltato le parole, centellinando ogni sequenza e ogni frase.


Ho riflettuto. Ho messo a fuoco le molte perplessità che mi affliggono letteralmente in quest'ultimo periodo. 
Ho capito il rischio che corriamo tutti indistintamente!

E'un invito valido ormai per tutti.  
Ammettiamolo, in fondo in fondo,ci stiamo contagiando tutti, non sembra anche a voi?

giovedì 27 marzo 2014

" Che vita avrà mio figlio? ”

Risposta rassicurante allo sconforto e alla desolazione di una mamma che ha scoperto che il suo piccolo che porta ancora in grembo è un  portatore della sindrome di Down.
Molto preoccupata per il futuro di suo figlio ha scritto una lettera alla CoorDown Onlus.
Dice: “Aspetto un bambino. Ho scoperto che ha la sindrome di Down. Ho paura. Che vita avrà mio figlio?”

Il 21 marzo 2014, Giornata Mondiale sulla sindrome di Down, ormai è passato. So che non basta la riflessione in un solo giorno dell'anno, perchè la disperazione dovuta al pregiudizio razzista  colpisce sempre. Le parole di questi bimbi e le immagini di questo video (risposta alla lettera) sono un passo decisivo per chi ha nutrito ostilità o ha ignorato finora la realtà di questo aspetto della vita umana.
Non è solo uno spot ma il ricordo che ci deve accompagnare come insegnamento d ivita da uomo perchè
"TUTTI HANNO DIRITTO AD ESSERE FELICI"



Traduzione in italiano delle risposte dei ragazzi Down.

Cara futura mamma,
non avere paura.
Tuo figlio,
sarà capace di fare un sacco di cose.
Potrà abbracciarti.
Potrà correre fino a te.
Potrà parlare e dirti che ti vuole bene.
Potrà andare a scuola,
come tutti.
Potrà imparare a scrivere.
Potrà scriverti, se un giorno sarà lontano.
Perché in effetti, potrà anche viaggiare.
Potrà aiutare suo padre a riparare la bicicletta.
Potrà lavorare e guadagnare il suo denaro.
E con quel denaro potrà invitarti fuori a cena,
o affittare un appartamento e andare a vivere da solo.
A volte sarà difficile.
Molto difficile.
Quasi impossibile.
Ma non è così per tutte le madri?
Cara futura mamma,
tuo figlio potrà essere felice,
come lo sono io.
E sarai felice anche tu.
Vero mamma?
Vero mamma?

mercoledì 15 gennaio 2014

LE PAROLE

... con le parole si oltrepassa la soglia del proprio animo.

 "O Signore, poni guardia alla mia bocca;
 Guarda l’uscio delle mie labbra" (Salmi 141:3)
... perchè è bello ascoltare parole semplici, sincere e rassicuranti come queste, dette in una vecchia canzone di Pat Boone, "Words" un grande successo degli anni sessanta.

Words
Words are easy to be spoken
I know that and so do you
But when I said I love you, darling
Every word of it was true

Fancy words, I never use them
Since I met you from the start
Plain old simple words are better
They come directly from the heart

When I take your hand forever
All the chapel bells will chime
Woah, we will say I do together
And with these words
I'll make you mine
(With these words)


LE PAROLE
Traduzione (Cle Reveries)

Le parole sono facili da pronunciare
Lo so, e anche tu lo sai
Ma quando ti ho detto che ti amo, tesoro
Ogni parola era vera.

Le parole inventate, non le ho usate mai
Dall'inizio, dal momento che ti ho incontrato,
Sono meglio le vecchie e semplici parole
Scaturiscono direttamente dal cuore.

Quando prenderò la tua mano per sempre
Tutte le campane della chiesa si metteranno a suonare
Woah, diremo 
 insieme "Sì, lo faremo"
E con queste parole
Ti farò mia
(Con queste parole)

sabato 7 dicembre 2013

7)...waiting for Christmas...Hallelujah!

...  oh yes, 18 days to Christmas!
.... e siamo al settimo giorno di dicembre, il mese dell'attesa, delle riflessioni e... della gioia. 
*
Cosa c'è al numero sette?
... è un alleluia per un grande, anzi un mito, che ora non è più con noi, ma è sempre e resterà per sempre vivo ed eterno nella storia umana.
Nella sua lunga esistenza terrena Nelson Mandela ci ha aiutato a crescere come uomini liberi, la sua forza, la sua coerenza, il suo coraggio e il suo esempio sono stati nostri validi maestri.







Il mondo piange la perdita di "Madiba"

Mandela il leone
(Boubacar Camara n. a Pout, Senegal il 14/10/1978)

Ascolta il poeta lontano da te
Ma vicino al tuo cuore.
MANDELA - il leone
Tu non sei solo Mandela
Tu sei il Messia
Che abolisce la repressione
Non per instaurare un'altra
Eterno dualismo tra il bianco ed il nero,
Bensì
Per seppellire la sordida povertà
In una terra
Libera
Per
L'amore del Cuore e dell'anima.
A quando il tuo ruggito di speranza
Speranza di una terra senza razzismo
Mandela - il leone
Il tuo regno ti domanda
Mandela il leone


NOTA: Il testo e la traduzione di Halleluja sono su questo sito http://testi-di-canzoni.com/canzone/mostrare/782963/john-bon-jovi/testo-e-traduzione-hallelujah/


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mercoledì 4 dicembre 2013

4) ...waiting for Christmas...

...  oh yes, 21 days to Christmas!
.... e siamo al quarto giorno di dicembre, il mese dell'attesa. 
*

Cosa c'è al numero quattro?
Semplicemente la riflessione sulla realtà umana e sul Tempo.



Sono due pensieri umani di epoche diverse che mi hanno coinvolta tantissimo.

Quella del post "Sleeping with ghosts" di Max di Grigionebbia

"Frequentare una Casa Protetta per anziani è destabilizzante.
Mette in dubbio le poche certezze che uno aveva faticosamente accumulato negli anni passati....."

 e quella dell'ultimo post di Gemisto, un pensiero di un Uomo del X secolo che fu un matematico, astronomo, poeta e filosofo persiano.

O TU CHE...
(ʿUmar Khayyām Nīshāpūr, Persia 31/5/1048 – 4/12/1131)

O tu che notte e giorno ansioso guardi ai beni del mondo
E mai non pensi a quel giorno ultimo, giorno greve,
Torna in te, dunque, e guarda bene un istante,
Guarda agli altri tuoi simili cosa fa il Tempo!


Questo un tempo era stampato in modo indelebile nel DNA dell'uomo e rimboccarsi le maniche era un dovere umano, ora pare che si stia cancellando o si sia già cancellato, purtroppo il progresso e la "civiltà" ha prodotto anche questo!



domenica 24 novembre 2013

A day in the life..

O.T.Problema da non dimenticare
Leggi anche qui



...un giorno della vita.

Ieri  ho riascoltato dopo tanto tanto tempo  "A day in The Life" dei Beatles. Ma questa volta completamente assorbita dalla musica e sommersa anche dai versi. Le parole non mi sono scivolate velocemente come era accaduto prima, ma finalmente si sono materializzate in immagini che vivono da sempre e si ripropongono come attualità della vita quotidiana. Mi sono resa conto che dopo tanti anni la vita è sempre la stessa. Sarà una banalità...


L'ascoltavo in macchina e per la prima volta ho colto il messaggio, the gist, di questa perla dei "ragazzi di Liverpool".

Poi un giretto fortunato nella rete ed ho trovato su questo sito testo e traduzione. Non è solo la solita approssimata traduzione ma qui c'è tutto, storia, recensione, significato e note di commento che riporto testualmente, ringraziando l'autore che purtroppo mi è rimasto sconosciuto.


Beatles: A Day In The Life (Songwriters: LENNON, JOHN WINSTON / MCCARTNEY, PAUL JAMES)

I read the news today oh boy
About a lucky man who made the grade
And though the news was rather sad
Well I just had to laugh
Ho letto sui giornali di oggi (1)
di un uomo fortunato che è arrivato a destinazione
e sebbene la notizia fosse piuttosto triste
mi è proprio venuto da ridere (2)
I saw the photograph
He blew his mind out in a car
Ho visto la fotografia
si era fatto saltare le cervella in una macchina (3)
He didn't notice that the lights had changed
non si era accorto che il semaforo era diventato rosso
A crowd of people stood and stared
They'd seen his face before
un sacco di gente stava lì a guardare
avevano già visto la sua faccia
Nobody was really sure
If he was from the House of Lords.
nessuno era veramente sicuro
Se appartenesse alla camera dei Lords
I saw a film today oh boy
The English Army had just won the war
Ho visto un film oggi (4)
l'esercito inglese aveva appena vinto la guerra
A crowd of people turned away
but I just had to look
Having read the book.
un sacco di gente è andata via
ma io sono proprio dovuto (rimanere a) guardare,
avendo letto il libro
I'd love to turn you on
Sarei felice di farvi andare su di giri (5)
Woke up, fell out of bed,
Dragged a comb across my head
Mi sono svegliato, mi sono buttato giù dal letto (6)
Ho passato un pettine fra i capelli (7)
Found my way downstairs and drank a cup,
And looking up I noticed I was late.
sono sceso di sotto e ho preso una tazza (di caffè)
e guardando su mi sono accorto di essere in ritardo (8)
Found my coat and grabbed my hat
Made the bus in seconds flat
Ho trovato il cappotto e afferrato il cappello
ho preso l'autobus al volo (questione di secondi)
Found my way upstairs and had a smoke,
Somebody spoke and I went into a dream
sono andato di sopra e mi sono fatto una fumata (9)
qualcuno parlava e sono entrato in un sogno (10)
I read the news today oh boy
Four thousand holes in Blackburn, Lancashire
Ho letto sui giornali di oggi (11)
di quattromila buchi a Blackburn, Lancashire
And though the holes were rather small
They had to count them all
e sebbene i buchi siamo piuttosto piccoli
li hanno dovuti contare tutti
Now they know how many holes
it takes to fill the Albert Hall.
Ora sanno quanti buchi
Servono per riempire l'Albert Hall (12)
I'd love to turn you on
Sarei felice di accendervi
  

lunedì 30 settembre 2013

"Le quattro giornate di Napoli - La rivolta contro gli occupanti tedeschi. 28 settembre - 1° ottobre 1943"


Per me non è solo una ricorrenza storica. E' parte della mia storia personale vissuta indirettamente attravero i ricordi e i racconti della mia famiglia. Vita vera, impressa nella mia memoria in modo indelebile. La paura, la miseria, i traumi, lo squallore dei ricoveri e l'indigenza incui riversava una città dal secolare fulgore, punto di riferimento culturale ed esempio di creatività e valore, sono  annullati da una guerra scellerata. 
In questo documentario Rai da "La Storia siamo noi" c'è tutta la passione dei napoletani che hanno sentito i dovere umano di ribellarsi trovando la forza nella rabbia e nel senso di libertà insito nella dignità umana.
Il video e il commento sembrano lo sfondo per il mio post "Perchè la guerra " che ho già pubblicato e che ripropongo, la giovane donna è mia madre che ritrovo nei personaggi di questo impareggiabile documentario.

"Una città sotto assedio, bersaglio dichiarato di tutti gli eserciti, degli alleati come dei nazisti. Questa è Napoli nei suoi giorni più difficili, dopo l'armistizio dell'8 settembre '43. La città vive ore drammatiche in attesa di una liberazione che non sembra arrivare mai mentre si susseguono distruzioni su vasta scala, rastrellamenti e deportazioni di civili da parte tedesca.
E così, dal 28 settembre al 1° ottobre 1943, i napoletani decidono di impugnare le armi e di combattere strada per strada, vicolo per vicolo contro gli ex alleati divenuti a tutti gli effetti occupanti. Alla fine, in più di trecento pagheranno questa scelta con la vita.
La cronaca di quelle quattro tragiche giornate rivive, ora per ora, nel documentario di Aldo Zappalà  premiato con Targa d'argento al merito del Presidente della Repubblica. È un racconto che ci riporta tra le strade del capoluogo campano proprio nel momento in cui la sommossa spontanea si salda alle azioni isolate della resistenza clandestina, in una sollevazione popolare che coinvolge senza distinzioni operai, intellettuali, ufficiali e soldati allo sbando.
Ma il dramma di Napoli, in realtà, è cominciato pochi mesi dopo lo scoppio della guerra, quella guerra che secondo la propaganda di regime avrebbe dovuto concludersi in poche settimane. E invece, tra l'autunno del 1940 e la primavera del 1944, Napoli subirà più di cento bombardamenti, da parte dell'aviazione inglese, americana ma anche della Luftwaffe.
Il più grave, il 4 dicembre del 1942, causa tremila morti, ma resta nella memoria collettiva anche quello che provoca l'esplosione della nave militare Caterina Costa, i cui resti vengono rinvenuti persino al Vomero, nella parte collinare della città. 
All'indomani dell'armistizio del '43, dunque, molti napoletani hanno lasciato la città, ma altrettanti sono rimasti, decisi a darsi un'organizzazione e ad opporsi alle autorità tedesche che il 13 settembre li minacciano apertamente: 'ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte', recita un bando dellaWermacht.
Dal 27 settembre inizia una vera e propria caccia all'uomo, senza distinzione d'età: diciottomila persone sono fermate, portate via, arrestate. I nazisti procedono anche alla distruzione sistematica delle fabbriche e del porto. Poi, alla notizia dell'esecuzione spietata di un giovane marinaio coinvolto nella resistenza, esplode la rivolta. In breve l'intera città è in prima linea, si alzano le barricate in tutti i quartieri e per quattro giorni i napoletani tengono duro fino a costringere i tedeschi alla resa.
Poche ore dopo, con l'arrivo degli americani, ha inizio il lungo e faticoso cammino verso la normalità, tra cumuli di macerie, apocalittiche eruzioni del Vesuvio, mercato nero, prostituzione ed epidemie, come quella di tifo petecchiale, che le autorità americane sconfigerranno solo irrorando quintali di DDT su oltre seicentomila napoletani."

PERCHE’ LA GUERRA?



Non ce lo ha mai detto direttamente, ma noi lo sapevamo, sapevamo tutto di lei.

Quando parlava con le sue amiche noi eravamo sempre con lei, molto spesso stavamo lì per curiosità, o per “educazione”, cioè era la buona educazione che lo imponeva.
Era interessante conoscere le banalità quotidiane delle famiglie delle sue amiche. A quei tempi, noi non avevamo la televisione così gli spettacoli ce li facevamo da soli. Ci erano utili quei momenti, attingevamo da lì le battute per gli sketch del nostro cabaret privato.
Nei momenti in cui i loro discorsi si facevano più interessanti, o meglio, più importanti per noi, mia madre improvvisamente ricordava di aver dimenticato una commissione o un accidente qualsiasi e con urgenza venivamo allontanate per uscire e svolgere il suo compito.
Proprio quella mancanza di garbo ci insospettiva tanto: era tutto chiaro. Sapevamo bene, e già da molto tempo, che era giunto il momento per levarci di torno, ci alzavamo senza batter ciglio. Facevamo finta di uscire, sbattevamo le varie porte, ritornavamo indietro in punta di piedi e ascoltavamo
 in silenzio.
Erano quasi sempre le stesse storie piene di sospetti tradimenti, presunte tresche, insomma, quello che ora liberamente circola sui nostri rotocalchi e in certi talkshow televisivi.
Da loro ho sempre saputo dell'esistenza di "festini", "party a luci rosse" e relazioni omosessuali, tutto studiato poi 
a scuola nelle biografie di scrittori e poeti illustri  o letti nei romanzi d'autore messi all'indice.

Perciò noi sapevamo sempre tutto!
Non ho mai capito come riuscisse a mantenere la sua ferma autorevolezza di mamma e la sua amichevole complicità col suo gioioso modo di considerarci sue amiche.
Con noi forse, anche lei scopriva il mondo. 

Era molto ingenua, nelle conversazioni "proibite" che ascoltavamo la sentivamo ripetere, con voce sinceramente incredula:"Ma no !? non è possibile, sono esagerazioni o fantasie di gente poco seria e cattiva, non si può credere a certe volgari fantasie. No, non dobbiamo crederci!"

Lei era ancora una ragazzina, aveva avuto la sua prima figlia a diciotto anni, (a quei tempi ci si sposava quasi adolescenti) e si era anche in un periodo in cui si doveva credere che i bambini nascevano sotto il famoso "cavolo" e avere un amichetto, cioè amico maschio piccolo, non era del tutto "per bene".


Aveva seguito suo marito in una città molto diversa dal luogo in cui aveva vissuto. Ci era arrivata un anno prima che iniziasse la seconda guerra mondiale e Napoli con la sua gente così viva ed allegra l’aveva conquistata subito.
Non aveva mai smesso di amarla, aveva 
sempre ammirato quel luogo di estrema bellezza, quella Via Caracciolo frequentata dai grandi personaggi, artisti, poeti, scrittori che si incontravano e si fermavano con la gente comune. Spesso raccontava  del grande Benedetto Croce, quel signore anziano che veniva a sedersi sulla sua panchina e giocava con noi come un semplice nonno e con lei si soffermava sulle cosiderazioni sociali del momento.
Ammirava quella gente che sapeva soffrire la fame, gli stenti con serenità, e nella distruzione e nel caos era sempre piena di speranza e orgoglio per un passato ricco di cultura e arte.

 La guerra crudelmente stava sgretolando tutto sotto i loro occhi, ma non si erano mai arresi.
I bombardamenti continui sulla città non impedivano ai napoletani rinchiusi nei ricoveri sotterranei di continuare a vivere e a sognare.
Lì sotto c'era tutto il quartiere che continuava a vivere, anche senza vedere il sole o sentire la brezza del mare. Le sue attività consuete animavano quel luogo squallido e affollato. Nella promiscuità assoluta ognuno dimostrava una apparente noncuranza per ciò che accadeva fuori.
C’era chi cantava le sue composizioni chiedendo il parere dei presenti, chi intonava motivi famosi, chi recitava poesie, chi dava lezioni di musica o canto e qualcuno anche quelle delle materie scolastiche: era "o professor". Molti svolgevano normali attività manuali, le donne lavoravano a maglia confrontandosi o si scambiavano pareri e consigli tecnici. C'era anche chi spettegolava, chi litigava e chi dormiva. I bambini tranquillamente facevano la loro solita vita. 

Tutto questo ce lo raccontava sempre, forse sapeva che non lo avrebbe mai dimenticato.
Ma ciò che le accadde quel giorno non ha avuto mai la forza di dircelo, di dircelo guardandoci negli occhi...

.....sì quel giorno aveva fatto tardi. Si era avviata all'ultimo segnale dell'orribile sirena che avvertiva dell'arrivo degli aerei con le loro bombe che mettevano in forse le sorti delle abitazioni lasciate così..scappando via senza un attimo di esitazione.
E sì che aveva sentito alla radio il temutissimo "Maria che si prepari" di Radio Londra, sapeva che doveva affrettarsi, essere veloce come il vento perchè c'erano molte probabilità di non farcela. 

Con una neonata e un'altra bambina di tre anni era proprio difficile prevedere tutto e prepararsi  per essere pronti a scappare.
Quella volta non ce la fece. Aveva affidato la maggiore delle mie sorelle con tutto il necessario di sopravvivenza ai suoi amici, le davano sempre una mano e tanto coraggio, così lei era rimasta a sistemare l'altra piccola di pochissimi mesi.

Era scesa giù con la bimba abbracciata forte a lei sotto la sua pelliccia, ormai diventata la sua seconda pelle, la indossava per quelle dannate corse due o tre volte al giorno e la teneva su ore ed ore laggiù in quella strana bolgia,  fino all'annuncio dello scampato pericolo.
Aveva sentito il frastuono degli aerei che si avvicinavano col loro carico di morte ed avanzavano a volo radente sparando all'impazzata.

Si era buttata giù per terra, appiattendosi sotto il marciapiede di una strada principale di Napoli tenendo la sua bimba stretta stretta a lei, pregava aspettando Sorella Morte.
Guardando verso il cielo vide "l'alleato americano", un ragazzo anche lui, ubriaco fradicio che sghignazzava e urlava a squarciagola. L'aveva presa di mira e sparava contro di lei preso dalla furia della sua esaltazione, divertendosi in modo scellerato, senza fortunatamente colpirla.
Stette lì immobile finchè l'altro non ritenne opportuno smettere con lei forse per cambiare divertimento.

Quando fu finita quell'incursione si alzò incredula per ciò che aveva vissuto e ancora con l'immagine di quel ragazzo che giocava con la sua vita e quella di sua figlia divertendosi e sollazzandosi, si avviò nella devastazione totale che la circondava.

Raggiunse gli altri, riabbracciò finalmente la sua piccola che aveva temuto di non rivedere mai più e tra l'affetto e le coccole di quella "gente tutto cuore" riprese la vita di sempre. 

Forse mia madre non ha mai dimenticato, ma anche noi non abbiamo dimenticato, anzi per me la sua disavventura è stata la ragione del mio odio per la guerra.
Lei non ci aveva detto niente, non aveva coltivato l'odio per quel soldato sciagurato  perchè sapeva che così è la guerra!


LA PAROLA GUERRA MI FA INORRIDIRE. COLPISCE PROFONDAMENTE SOLO GLI INNOCENTI ED ESALTA I MALI DELLA TERRA.



martedì 20 agosto 2013

.... ma il senso civico è buona educazione, sensibilità, evoluzione o semplicemente amarsi?

Me lo chiedo spesso, specialmente quando assisto a certi fatti o noto gli effetti incresciosi di chi ha solo il suo ego come punto di riferimento.
La risposta può essere senz'altro in questo testo di R. Follerau postato ieri da Gemisto.
Ditemi se non è così.


La civiltà
(Raoul Follereau Nevers, Francia 17/8/1903 – Parigi, Francia 6/12/1977)
La civiltà non è né il numero,
né la forza,
né il denaro.
La civiltà è il desiderio paziente,
appassionato,
ostinato,
che vi siano sulla terra meno ingiustizie,
meno dolori,
meno sventure.
La civiltà è amarsi.






lunedì 29 luglio 2013

"...: Omofobie strabiche" di Rossland, quasi un manifesto

Dice Ross: "Solo un processo di indagine su se stessi ha rilevanza per poter davvero comprendere che nulla vi è di sbagliato in nessun essere umano".

Ho letto il post "Omofobie strabiche" della mia amica Ross(land), tratta gli stessi punti che vado rimuginando da tempo, con le stesse riflessioni ma non con la sua puntuale e lucida analisi che solo lei sa fare con tanto garbo, competenza e sensibilità.  
Per me è come un manifesto che tutti dovrebbero leggere.
So che tra i miei amici blogger e tra quelli che passano in silenzio da qui, ci sono anche omosessuali, splendide e care persone e sento il dovere di divulgare quello che scrive Ross anche per loro. 
Se mi fosse possibile lo farei leggere a Dario il mio ex alunno silenzioso, inebetito ed istupidito che mi ha sorriso dopo 5 anni, quando cioè si è liberato dell'oppressione dei genitori, dei pregiudizi e delle amarezze conseguenti e ha conosciuto un mondo, meglio, è riuscito a vedere e percepire il calore umano di chi da cinque anni gli era intorno: il suo mondo fatto di realtà che nulla hanno a che fare con il sesso. Come dice lei del suo amico, le ragazze lo hanno abbracciato con la loro spontaneità e il calore di chi sa che friend e friendship sono validi per tutti i generi.
Se potessi raggiungere Stefano, un ragazzo del basso Salento, che trent'anni fa confessava di farsi uno spinello solo la domenica per tirarsi un po' su, come mi diceva sorridendomi, per sentirsi rincuorato, tra lo scherno delle ragazze e dei ragazzi, suoi compagni di classe che dietro le sue spalle a gesti mi facevano capire che non andava proprio considerato tanto era gay. 
Anche se forse troppo tardi, potrebbe avere la certezza che esistono persone come Ross che con la loro sensibilità sanno parlarne come la gente onesta vuole che se ne parli.
Grazie Grande Ross
Ecco il link 
...: Omofobie strabiche
ed ecco il post

sabato 27 luglio 2013


Omofobie strabiche

Il mio migliore amico era (è, ma non ci frequentiamo più), un omosessuale.
Con lui ho scambiato confidenze, dolori, lacrime, vacanze, montagne di libri, visto centinaia di films, scorazzato in giro per il mondo per inseguire un concerto o una mostra con quel piacere in più di avere per amico qualcuno con il quale condividi un'intera visione del mondo. 
Ma non il sesso.

Non è mai sceso in piazza, che io ricordi, per partecipare a un Gay Pride e mai (che ricordi), ha sentito la necessità di dover fare una battaglia civile per prendersi il diritto a convivere con la persona del suo stesso sesso che amava, né gli è mai passato per la testa di volersi con questa sposare. 
Abbiamo invece partecipato insieme a battaglie contro l'ostilità della burocrazia quando questa gli impediva di prendersi cura del suo compagno mentre questi era morente all'ospedale.
E prima ancora, insieme abbiamo partecipato alle battaglie civili per l'aborto, per il divorzio, per la depenalizzazione dell'uso delle droghe leggere, contro la fame nel mondo, per il diritto dei bambini nel mondo ad avere tutti un'educazione scolastica, contro tutte le mafie o per l'acqua pubblica, sulla quale è immorale concedere profitti (ma si concedono).
Tutte battaglie civili che non hanno un'identità sessuale, a ben vedere.

La sua amicizia mi ha insegnato meglio di qualunque codice penale che l'etichetta "omosessuale" ti può essere data a mo' di insulto per ragioni che nulla hanno a che fare con la sessualità e tutto con la miseria spirituale umana.
  
Trovo che vi sia sempre qualcosa di oscenamente pruriginoso, nelle persone che si occupano delle preferenze sessuali o delle camere da letto altrui.
C'era un motto, piuttosto in voga nei primi anni delle mie amicizie omosessuali, che dice forse più di quanto sembra:" Non sognarlo, fallo!".
Cui faceva seguito:" Veditela, 'sta cosa".
Come a dire che raramente è dato che un argomento tenga banco a lungo senza che chi lo tiene ossessivamente sul tavolo abbia un qualche personale conflitto non risolto sull'argomento di cui dibatte. 

Ora, momento in cui pare che il sesso omosessuale sia tornato a essere l'ossessione più comune fra gli eterosessuali con zero conoscenza non solo del mondo omosessuale, ma della loro propria sessualità, mi sentirei di rispolverare entrambi i motti: "Vedetevela, 'sta cosa", e "Non sognatelo, fatelo!".
Indagassero a fondo infatti, i liberi dibattitori del tema omofobia, anche con metà dello zelo con cui si infilano non invitati nei pertugi altrui, potrebbero scoprire di coltivare in se stessi più amoralità di quanta ne potrebbero mai scoprire nelle caste pratiche sessuali di qualunque omosessuale.
Ah, certo, come dimenticarsene?
La morale comune, la famiglia, il nucleo fondativo della società, etc.
Più Mulino Bianco per tutti, concordo.
Peccato non sia data una famiglia in cui non covino rabbie deliranti e spesso orrendamente esplosive: è un rosario quotidiano di mariti che ammazzano le mogli, padri che ammazzano i figli, figli che ammazzano i padri, zii che stuprano le/i nipoti, fratelli che si accordano per far fuori i propri vecchi e godersi l'eredità, fidanzati bravi ragazzi che respinti organizzano lo stupro di gruppo dell'amata istantaneamente declassata a...
Tutte brave sacre famiglie, dedite tutte fino al giorno prima a sbandierare moralità e natura per il verso giusto, ne sono ragionevolmente certa.

Se poi si arriva, per contro, a una legge che vieta anche il solo esprimere un pensiero o una critica sull'omosessualità, punendo l'esercizio di tal pensiero addirittura con il carcere per omofobia, mi pare che siamo alla ratifica per legge di un'ignoranza sessuale assai diffusa.

Non basta la legge ordinaria per punire la discriminazione sessuale o la violenza di qualunque natura, contro un qualunque essere umano, di qualunque sesso questo sia?

Che poi, mi somiglia allo sguardo di un guercio, questa legge: punisce chi esprime pensieri offensivi contro un singolo orientamento sessuale (ogni altra perversione esclusa eh?, purché sia fra due sessi diversi, ça va sans dir), ma tace invece sul reato di tortura, che a me parrebbe tema su cui legiferare ben più urgente e grave, viste le non sentenze per assenza di una tal legge al processo per la macelleria umana al G8 a Genova.
Così mi chiedo: ma qual è il vero problema di chi si perde in discussioni e manifestazioni pro o contro questa legge sull'omofobia?
Che fa il paio, sia chiaro, con la legge sul femminicidio.

Che sia proprio la legge allora, a non funzionare, se anziché applicare i dispositivi di legge esistenti ci diventa necessario legiferare in modo personalizzato se a essere malmenato o ucciso o offeso o perseguitato è una donna o un omosessuale o un bambino o un... 
O forse c'è che qualcosa non va in noi.
Forse non abbiamo proprio voglia di evolverci come umani, se ancora non riusciamo a convivere con le mille diverse interpretazioni dell'esistenza, che ogni essere umano rappresenta con il suo solo esistere, e reagiamo a ogni diversità e a ogni pensiero differente dal nostro con la stessa brutalità pavloviana dell'ominide del paleolitico che conosce ancora solo l'uso dei latrati bisillabici e della clava, che alza minaccioso contro ogni cosa a lui sconosciuta che si muova sotto il suo ristretto angolo di cielo.

giovedì 2 maggio 2013

AMICIZIA E DIVORZIO

Ripropongo il post pubblicato il 15 dicembre 2011 (periodo natalizio) perchè sono sempre alla ricerca di una risposta soddisfacente a questo mio dilemma:
PUO' IL DIVORZIO DETERMINARE LA FINE DI UN’AMICIZIA?


La sola parola divorzio mi mette sempre tanta tristezza.Secondo me, racchiude tutta l’essenza della delusione e della sconfitta di una coppia. E' comunque sempre il rimedio migliore per situazioni drammatiche e insostenibili, questo è fuori d’ogni discussione, ma riguarda solo ed esclusivamente il privato dei due.Non mi piace schierarmi da una parte o dall’altra, per me la famiglia è una cosa seria non è un campo di calcio che ha vita anche con il tifo dei fans.
E’ molto doloroso pensare alle ripercussioni che ha un divorzio sui figli, e come inciderà sul loro futuro, specialmente perché molto spesso sono sballottati da uno o dall’altro genitore, o addirittura anche usati come arma contro uno o l’altro coniuge. Questo, ahimè, è dolorosamente noto a tutti.
Non ho esperienze dirette di divorzio, ma in giorni di preparativi per il Natale mi assale una rabbia proprio causata da un divorzio.Molti anni fa in Inghilterra avevamo conosciuto una famiglia molto felice. Marito sereno, colto, estroverso, sensibile, sempre disponibile, insomma un amico che tutti vorremmo avere… E noi lo avevamo trovato. Sua moglie molto saggia, anche lei molto disponibile ma un po’ meno disinvolta e non molto loquace.Due figli che riflettevano la solarità e la serenità dei loro genitori, quindi una famiglia simile a quella del Mulino Bianco.Eravamo orgogliosi di averli come amici. Ogni anno ci si vedeva in estate. A Natale c’era lo scambio degli auguri e la cerimonia del pacco da spedire con tutti i nostri regalini per i quattro cari amici. Poi c’era l’altra cerimonia: l’apertura del loro pacco con tutte le British sorprese possibili e immaginabili  per noi e i nostri bambini.
Tutto questo è durato imperturbabile fino a pochi anni fa quando, dopo 48 anni di matrimonio invidiabile, il divorzio ha fatto rompere l’incantesimo.In questi casi c’è tutta una serie di procedure che non mi interessano, ma cosa c’entro io nel loro divorzio?Io c’entro sì, perché nessun giudice ha provveduto ad assegnare gli amici comuni all'uno o all'altro. Non è previsto, lo so, e forse a ripensarci, meno male.
A noi è rimasta la nostra amica Maria, ma abbiamo perduto Barry che lasciando sua moglie (fatti loro) ha dovuto rinunciare a noi... e poi, in base a quale legge?Abbiamo cercato di contattarlo in tutti i modi, ma tutto invano, il divorzio ha colpito anche noi!


giovedì 11 aprile 2013

Quando si è poveri?

E' da questa mattina che mi pongo questa domanda a cui non riesco a dare una risposta che vada bene, cioè da quando ho letto la poesia di Neruda "La povertà" che riporto  alla fine del testo.
Vivendo in un periodo in cui si parla molto  di recessione globale e di povertà sempre più dilagante, mi sono resa conto di aver sinceramente perduto il senso ed il significato di questa atavica situazione.
La povertà, sì che la conosco. Per fortuna indirettamente. L'ho vista furoreggiare con la grande indigenza in cui si era tutti nel dopoguerra.
La percepivo quotidianamente nel vedere le privazioni a cui erano sottoposti i miei coetanei. Negli occhi lucidi della povera donna che veniva a chiedere a mia madre  piccole somme in prestito 
il lunedì e ritornare per restituirle il sabato e ripetere il rito nuovamente il lunedì successivo. Nell'andirivieni delle povere giovanissime mamme che bussavano alla nostra porta per sentire consigli incoraggianti da mia madre. Una persona disponibile, diventata suo malgrado, punto di riferimento del vicinato che non lesinava comprensione e sapeva ascoltarle. Rappresentava la sorella maggiore che  quelle giovanissime donne avevano sempre desiderato avere. Erano ancora ragazzine, 17 o 18 anni, e già un  carico domestico difficilissimo. Sposate, con un marito anche lui  giovanissimo, e  almeno un figlio con tutte le esigenze dei bambini piccoli. Mia madre riusciva a confortarle e a darle un supporto morale con suggerimenti adeguati ai loro affanni del momento. Sulle incertezze per la  loro prima gestazione o sui loro figli che facevano le normali richieste di tutti i bambini. Ah, dimenticavo proprio quello che a noi figlie dava più fastidio e che disapprovavamo e le rimproveravamo sempre: le iniezioni e l'assistenza ai parti. Lei si giustificava dicendoci che quella gente non avendo soldi per medici e personale tecnico adeguato, si sarebbe trascurata compromettendo il proprio stato di salute.
La povertà, anzi la miseria, l'ho sentita ancora nelle urla disperate della mamma di Riccardina, mentre piangeva sulla bara della sua figlioletta. La mia compagna di giochi era morta di tetano e  per me, che avevo giocato con lei il giorno prima, sicuramente è stato un vero shock, è stato anche il primo incontro con la morte e l'evento più amaro della mia vita. Non dimenticherò mai quello che diceva, quella donna così infelice. Quando ci penso mi sembra realmente inconcepibile per noi. Quella mamma nello strazio  assoluto ricordava quanto bene le avesse voluto e come avesse sempre accontentata in tutte le richieste della sua bimba.Un vero dramma!
Quali desideri aveva avuto in vita la bambina? e quali le sue richieste? Un giocattolo o un vestitino, rispondereste voi. No-o! Solo pane con lo zucchero! Ma, non è per noi assurdo? Vi assicuro questo l'ho vissuto realmente ed è stato sentito dalle mie orecchie.
Vivendo episodi simili, la mia generazione ha vinto la sfida con la povertà minacciosa che le faceva terrore, ma l'ha sempre guardata con dignità e una incoraggiante fiducia.
Avevamo dei modelli di vita vissuta ponderatamente  nella speranza di un futuro migliore. C'era una solidarietà umana veramente sentita, fatta di piccoli gesti, piccole confidenze, qualche buon consiglio, poveri prestiti e spontaneo reciproco rispetto.
Una sana risata, una canzone ascoltata dall'unica radio del vicinato o anche cantata, serviva a scacciare lo stress e la depressione.
Era il tempo e il luogo di cui ho parlato qui in questo mio post dell'anno scorso, per me un periodo di grande formazione.
E sì, devo molto a quella gente.
Se confronto quei tempi con i nostri, mi sembra di essere scesa da un'astronave proveniente da un altro pianeta.
Resto sconcertata per l'eccessiva informazione che considero insana e deviante, un vero lavaggio al cervello. Non che io preferisca ignorare tutto quello che accade, ma c'è solo una eccessiva informazione su una realtà che non è facilmente verificabile, punto e basta. Ho la sensazione che  ci sia una mancanza di volontà ad entrare in contatto con chi soffre, toccare con mano la sofferenza e cercare di dare una mano. C'è solo una finzione di empatia con tutti quelli lontani fisicamente (alludo ai numerosissimi talk show) ma esclude chi ci vive accanto, non ci si preoccupa di chi è vicino. Si sentono parole di solidarietà di facciata, frasi che risultano false o senza senso. Forse è dovuto al cambiamento culturale, cioè al sentirsi parte di un gruppo organizzato che si chiama Stato, con la s maiuscola, in cui basterebbe denunciare quello che accade e delegare le risoluzioni dei problemi agli enti preposti dallo stato. 
Negli anni '50 di cui stavo parlando, si aveva tanto bisogno di solidarietà, non quella denunciata ma quella del contatto fisico. Lo Stato pensava a resuscitare dallo sconquasso per arrivare ad un livello alto non  essenzialmente politico-economico ma anche   ideologico. Questo era sentito dai più sensibili e di buona cultura, certamente meno dai cittadini comuni, educati ed abituati a subire come sempre.
Noi, però, siamo cresciuti nella cultura dello stato che deve provvedere ai bisogni dei suoi cittadini, del “cura promovendae salutis”. La richiesta di un po' di pane urlata dal bimbo affamato, da me ascoltata, o meglio non soltanto da me ascoltata, ma da tutto il vicinato, era l'urlo dei nuovi poveri alle istituzioni. La risposta della povera giovane mamma era sempre la stessa, era un rito scontato. Io non riesco a dimenticarla perchè ci coinvolgeva un po' tutti, in altri termini ci vincolava alla solidarietà e al senso umano. 
Come si può dimenticare la reazione disperata di quella donna. Sempre urlando, sconsolata diceva: "Disgraziè, nan stè (piccola pausa ) vae dalla Signoora!". Così finiva quella sorta di dialogo, e dopo un poco "qualcuno" bussava, e appariva lui sulla nostra porta, carino, profumato di pulito, ben pettinato e felice di rivedere noi.  che lo aspettavamo. La "Signora" per antonomasia era mia madre, mai sorda o distratta nel dare una mano a chi non era fortunato come noi. Lei e tutte le altre "Signore" attrezzate solo di una cultura, una saggezza ed il normale senso umano, le sue umili competenze e la solidarietà umana sostituiva quello che ora pretendiamo dallo stato.
Il mio disgusto, scusatemi ma lo devo dire, è tale quando alle richieste di chi chiede aiuto come quel bambino bello ma indigente, si danno risposte simili  a "Ci dispiace poveretti miei non ci sono fondi", e noi intuiamo il seguito, cioè, andate in televisione a chiedere qualche sms di solidarietà. Così ormai ogni settimana c'è la richiesta di un contributo solidale per sostenere enti privati che fanno le funzioni della "Signora", ormai morta, anche come figura. Ora è l'epoca delle strutture Onlus, veri enti riconosciuti ma non sono ben sovvenzionati.
Quello che mi ha messo veramente in crisi questa mattina è stata la lettura della bella poesia e l'ascolto di altre notizie divulgate in questi giorni. Su un manifesto politico, per esempio, ho letto questo:"Il ... è vicino a tutti i cittadini che in questo momento stanno vivendo momenti difficili".
Ora sono veramente perplessa. Quale conforto possono dare a uno che non sa come sbarcare il lunario frasi come questa?
Bene penso che la vera povertà sia proprio nello sconforto per l' inesistenza di una solidarietà più umana e del calore umano che ridona il sorriso e la fiducia nel futuro.
Quando si è poveri, quindi?
Quando ci si sente abbandonati e privi di speranza, quando ci accorgiamo che non c'è nessuno capace di confortarci e scuoterci dallo sconforto con l'amore per il prossimo, quello che si deve e che è lo stesso che vogliamo noi dagli altri, umile ed umano.
Gustate la delicatezza di questo Neruda, almeno ci si confronta con i nostri sentimenti più belli e sulla schietta fiducia nella vita.
La povertà
(Pablo Neruda Parral, Cile 12/7/1904 - Santiago, Cile 23/9/1973 - Premio Nobel per la letteratura 1971)

Ahi, non vuoi,
ti spaventa
la povertà,
non vuoi
andare con scarpe rotte al mercato
e tornare col vecchio vestito.
Amore, non amiamo,
come vogliono i ricchi,
la miseria.
Noi la estirperemo come dente maligno
che finora ha morso il cuore dell'uomo.
Ma non voglio
che tu la tema.
Se per mia colpa arriva alla tua casa,
se la povertà scaccia
le tue scarpe dorate,
che non scacci il tuo sorriso che é il pane della mia vita
Se non puoi pagare l'affitto
esci al lavoro con passo orgoglioso,
e pensa, amore, che ti sto guardando
e uniti siamo la maggior ricchezza
che mai s'è riunita sulla terra.


........ e
Se desiderate o siete disponibili per una sana risata autoironica, guardate questo grandissimo Totò con tutto un cast di grandissimo valore. Notevole è l'interpretazione di un indimenticabile Marcello Mastroianni.

Una prestigiosa versione cinematografica dell'opera di Eduardo Scarpetta. Molta esagerazione, ma tantissima autoironia.