"rascel

«Io prendo manciate di parole e le lancio in aria; sembrano coriandoli, ma alla fine vanno a posto come le tessere di un mosaico».
(Renato Rascel)

venerdì 27 aprile 2012

PERCHE’ LA GUERRA?



Non ce lo ha mai detto direttamente, ma noi lo sapevamo, sapevamo tutto di lei.

Quando parlava con le sue amiche noi eravamo sempre con lei, molto spesso stavamo lì per curiosità, o per “educazione”, cioè era la buona educazione che lo imponeva.
Era interessante conoscere le banalità quotidiane delle famiglie delle sue amiche. A quei tempi, noi non avevamo la televisione così gli spettacoli ce li facevamo da soli. Ci erano utili quei momenti, attingevamo da lì le battute per gli sketch del nostro cabaret privato.
Nei momenti in cui i loro discorsi si facevano più interessanti, o meglio, più importanti per noi, mia madre improvvisamente ricordava di aver dimenticato una commissione o un accidente qualsiasi e con urgenza venivamo allontanate per uscire e svolgere il suo compito.
Proprio quella mancanza di garbo ci insospettiva tanto: era tutto chiaro. Sapevamo bene, e già da molto tempo, che era giunto il momento per levarci di torno, ci alzavamo senza batter ciglio. Facevamo finta di uscire, sbattevamo le varie porte, ritornavamo indietro in punta di piedi e ascoltavamo
 in silenzio.
Erano quasi sempre le stesse storie piene di sospetti tradimenti, presunte tresche, insomma, quello che ora liberamente circola sui nostri rotocalchi e in certi talkshow televisivi.
Da loro ho sempre saputo dell'esistenza di "festini", "party a luci rosse" e relazioni omosessuali, tutto studiato poi 
a scuola nelle biografie di scrittori e poeti illustri  o letti nei romanzi d'autore messi all'indice.

Perciò noi sapevamo sempre tutto!
Non ho mai capito come riuscisse a mantenere la sua ferma autorevolezza di mamma e la sua amichevole complicità col suo gioioso modo di considerarci sue amiche.
Con noi forse, anche lei scopriva il mondo. 

Era molto ingenua, nelle conversazioni "proibite" che ascoltavamo la sentivamo ripetere, con voce sinceramente incredula:"Ma no !? non è possibile, sono esagerazioni o fantasie di gente poco seria e cattiva, non si può credere a certe volgari fantasie. No, non dobbiamo crederci!"

Lei era ancora una ragazzina, aveva avuto la sua prima figlia a diciotto anni, (a quei tempi ci si sposava quasi adolescenti) e si era anche in un periodo in cui si doveva credere che i bambini nascevano sotto il famoso "cavolo" e avere un amichetto, cioè amico maschio piccolo, non era del tutto "per bene".


Aveva seguito suo marito in una città molto diversa dal luogo in cui aveva vissuto. Ci era arrivata un anno prima che iniziasse la seconda guerra mondiale e Napoli con la sua gente così viva ed allegra l’aveva conquistata subito.
Non aveva mai smesso di amarla, aveva 
sempre ammirato quel luogo di estrema bellezza, quella Via Caracciolo frequentata dai grandi personaggi, artisti, poeti, scrittori che si incontravano e si fermavano con la gente comune. Spesso raccontava  del grande Benedetto Croce, quel signore anziano che veniva a sedersi sulla sua panchina e giocava con noi come un semplice nonno e con lei si soffermava sulle cosiderazioni sociali del momento.
Ammirava quella gente che sapeva soffrire la fame, gli stenti con serenità, e nella distruzione e nel caos era sempre piena di speranza e orgoglio per un passato ricco di cultura e arte.


 La guerra crudelmente stava sgretolando tutto sotto i loro occhi, ma non si erano mai arresi.
I bombardamenti continui sulla città non impedivano ai napoletani rinchiusi nei ricoveri sotterranei di continuare a vivere e a sognare.
Lì sotto c'era tutto il quartiere che continuava a vivere, anche senza vedere il sole o sentire la brezza del mare. Le sue attività consuete animavano quel luogo squallido e affollato. Nella promiscuità assoluta ognuno dimostrava una apparente noncuranza per ciò che accadeva fuori.
C’era chi cantava le sue composizioni chiedendo il parere dei presenti, chi intonava motivi famosi, chi recitava poesie, chi dava lezioni di musica o canto e qualcuno anche quelle delle materie scolastiche: era "o professor". Molti svolgevano normali attività manuali, le donne lavoravano a maglia confrontandosi o si scambiavano pareri e consigli tecnici. C'era anche chi spettegolava, chi litigava e chi dormiva. I bambini tranquillamente facevano la loro solita vita. 

Tutto questo ce lo raccontava sempre, forse sapeva che non lo avrebbe mai dimenticato.
Ma ciò che le accadde quel giorno non ha avuto mai la forza di dircelo, di dircelo guardandoci negli occhi...

.....sì quel giorno aveva fatto tardi. Si era avviata all'ultimo segnale dell'orribile sirena che avvertiva dell'arrivo degli aerei con le loro bombe che mettevano in forse le sorti delle abitazioni lasciate così..scappando via senza un attimo di esitazione.
E sì che aveva sentito alla radio il temutissimo "Maria che si prepari" di Radio Londra, sapeva che doveva affrettarsi, essere veloce come il vento perchè c'erano molte probabilità di non farcela. 

Con una neonata e un'altra bambina di tre anni era proprio difficile prevedere tutto e prepararsi  per essere pronti a scappare.
Quella volta non ce la fece. Aveva affidato la maggiore delle mie sorelle con tutto il necessario di sopravvivenza ai suoi amici, le davano sempre una mano e tanto coraggio, così lei era rimasta a sistemare l'altra piccola di pochissimi mesi.

Era scesa giù con la bimba abbracciata forte a lei sotto la sua pelliccia, ormai diventata la sua seconda pelle, la indossava per quelle dannate corse due o tre volte al giorno e la teneva su ore ed ore laggiù in quella strana bolgia,  fino all'annuncio dello scampato pericolo.
Aveva sentito il frastuono degli aerei che si avvicinavano col loro carico di morte ed avanzavano a volo radente sparando all'impazzata.

Si era buttata giù per terra, appiattendosi sotto il marciapiede di una strada principale di Napoli tenendo la sua bimba stretta stretta a lei, pregava aspettando Sorella Morte.
Guardando verso il cielo vide "l'alleato americano", un ragazzo anche lui, ubriaco fradicio che sghignazzava e urlava a squarciagola. L'aveva presa di mira e sparava contro di lei preso dalla furia della sua esaltazione, divertendosi in modo scellerato, senza fortunatamente colpirla.
Stette lì immobile finchè l'altro non ritenne opportuno smettere con lei forse per cambiare divertimento.

Quando fu finita quell'incursione si alzò incredula per ciò che aveva vissuto e ancora con l'immagine di quel ragazzo che giocava con la sua vita e quella di sua figlia divertendosi e sollazzandosi, si avviò nella devastazione totale che la circondava.

Raggiunse gli altri, riabbracciò finalmente la sua piccola che aveva temuto di non rivedere mai più e tra l'affetto e le coccole di quella "gente tutto cuore" riprese la vita di sempre. 


Forse mia madre non ha mai dimenticato, ma anche noi non abbiamo dimenticato, anzi per me la sua disavventura è stata la ragione del mio odio per la guerra.
Lei non ci aveva detto niente, non aveva coltivato l'odio per quel soldato sciagurato  perchè sapeva che così è la guerra!


LA PAROLA GUERRA MI FA INORRIDIRE. COLPISCE PROFONDAMENTE SOLO GLI INNOCENTI ED ESALTA I MALI DELLA TERRA.


E' ancora e sempre così, lo dicono anche i versi di questa poesia che mi ha fatto pensare a lei .


LANCIANO BOMBE E SORRIDONO
(di Gladys Basagoitia n. a Lima, Perù nel 1935 residente a Perugia) 

Accaniti
armati fino alla punta dei capelli
fino al filo dei denti
in nome della pace lanciano l’amo e l’esca
latte in polvere
farina
medicine scadute
lanciano bombe e sorridono
sperando che i bambini uccisi
prendano il latte dai seni assassinati.






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p.s.:
Grazie per essere passati, 
Se avete gradito questo post, perchè non votare qui?

Ve ne sarei molto grata
GRAZIE


venerdì 20 aprile 2012

A "ONE YEAR OLD" BLOGGER

 Parafrasando il Signor Bonaventura del mitico SТО un anno fa c'era da dire: "QUI COMINCIA L'AVVENTURA DI MS REVERIES, che ormai stanca dell'anonimato,  un blog su Splinder ha trovato......"
Ecco il primo post.
Ho cercato di riassettare il format di allora, non so quanto gli è vicino.
In un anno ho acquistato molti amici, ma ne ho perso qualcuno. Qui nei commenti ci sono i primi che mi hanno convinta ad essere una blogger.
Ora c'è da brindare:
LUNGA VITA A "REVERIES" che non voli via come i "PALLONCINI"!!! 


   I PALLONCINI



Ciao, MsReveries

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Mercoledì, 27 Aprile 2011






Dove andranno a finire i Palloncini ?


«Io prendo manciate di parole e le lancio in aria; sembrano coriandoli, ma alla fine vanno a posto come le tessere di un mosaico». (Renato Rascel)


Dove andranno a finire i palloncini

Dove andranno a finire i palloncini
quando sfuggono di mano ai bambini

dove andranno, dove andranno,
vanno a spasso per l'azzurrità.

Così cantava l’indimenticabile Renato Rascel negli anni ’50 in una canzone molto romantica e coinvolgente che ha accompagnato generazioni di bambini e adulti.
E’ certo molto delicata la figura del bambino che spegne la sua allegria per il suo amato, forse anche ambito, palloncino, e noi lo vediamo così:



E' felice di salire il palloncino
perchè sa che in fondo il cielo è il suo destino
piange il bimbo col nasino in su
mentre già non lo vede più.


Ho sempre considerato questi versi molto indicativi per la mia esistenza. Spesso si desidera molto intensamente quello che si chiede, lottando lo si ottiene, poi all’improvviso per ragioni inspiegabili ci sfugge di mano. Dopo tanta ansia e tanta attesa, tanta gioia per aver ottenuto il nostro “palloncino”, delusi, ci accorgiamo che non lo teniamo più col filo stretto tra le dita. Lo vediamo allontanarsi da noi fino a scomparire del tutto. Assaliti dallo sconforto di non sapere come mai non lo abbiamo più e che fine abbia fatto, con un misto di amarezza e gioia di chi deve continuare a vivere, immaginiamo scenette di questo tipo:


E gli angioletti dal balcon di nubi di coton
gia fanno capolin
e di vedetta pronto c'è quell'angioletto che
raccatta i palloncin.

e 
nel cielo già si vendono i biglietti
del calcistico torneo degli angioletti
cherubini, serafini
giocheranno la su
negli stadi del cielo blu


Mi sono sempre consolata pensando che tutte quelle cose che ho perduto continuano a rallegrare altri come me. Ma è possibile 
farsi una rassegnazione anche per tutte le persone, i fatti e le mille cose che si susseguono sui media come eventi eclatanti e che rimangono lì senza un epilogo?

   
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postato da: MsReveries alle ore 18:52 | Permalink | commenti (10) 
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Commenti:
#1                                                                                                                                              27 Aprile 2011 - 19:23

Beh, che bello finalmente leggerti.
Sai che questo pezzo sui palloncini mi ricorda un altro pezzo, scritto da Beppe Sebaste tempo fa.
Se lo trovo ti incollo il link.
Parlava di una fabbrica di palloncini e mi sa che ti piacerebbe...Lo cerco e torno...
Ciao!
Utente: kittymol77
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kittymol77
http://youtu.be/U0diKyOI
http://youtu.beI
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 27 Aprile 2011 - 20:02
#2
Grazie,
mi fa piacere che ti piaccia. Sicuramente mi  piacerà quello di Beppe Sebaste.
Ciao
TIi aspetto
Utente: MsReveries
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MsReveries
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#3                                                                                                                      28 Aprile 2011 - 21:11
Eccoti il link che ti dicevo...
Buona lettura (poi mi dici che ne pensi...)
Ciao!
http://www.beppesebaste.com/articoli/fabbrica_palloncini.html
Utente: kittymol77
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kittymol77
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 28 Aprile 2011 - 22:09
#4
Finalmente è cominciata l'avventura del tuo blog ed alla grande, con un post molto suggestivo. complimenti!

Io credo ci siano perdite a cui ci si può rassegnare e perdite che non si possono metabolizzare. Sopravvivere ad un figlio, ad esempio, è un dolore che non potrà mai avere fine.
Utente: Kaliparthena
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Kaliparthena
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 29 Aprile 2011 - 00:08
#5
Bene arrivata tra ...color che son sospesi in rete e  senza rete.
Equilibristi delle parole che volano lontano e continuerenno a volare anche quando noi avremo preso altre strade o saremo 'scoppiati', coriandoli (a volte pietre) nell'universo.

sheravantituttagoodluck
Utente: sherazade2005
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sherazade2005
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 29 Aprile 2011 - 14:34
#6
Lo sai che a me non piacciono i pensieri negativi e nemmeno rimuginare.
I palloncini sono fatti per volare, non ci dobbiamo stupire e poi come ogni cosa va e viene, fa il suo corso, e quando quel palloncino sarà volato ce ne sarà un altro più bello e colorato, o che sapremo apprezzare maggiormente. E' così. me lo hai insegnato tu, bisogna tenere cura delle proprie cose ed essere felici per quello che si ha, con la consapevolezza che non sarà eterno.
Un bacio,
tua figlia.

utente anonimo
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 30 Aprile 2011 - 11:00
#7
GRAZIE A TUTTI per essere passati e per i beicommenti che avete scritto .
Per kittymol77- Grazie per il link . Ho gustato con molto piacere il pezzo di Beppe Sebaste.
Oltre ad integrare ed ampliare le mie conoscenze sull'argomento, mi ha offerto la possibilità di leggere una pagina ricca di considerazioni molto valide e all'altezza dell'autare.
Mi è proprio piaciuto il tuo omaggio.

Per sherazade2005: Ti sono molto ricoscente per la tua gentilezza. Non ho mai avuto dubbi: Sei una persona speciale!!

Per Kaliparthena. Sono felice che ti sia piaciuto il mio post e ti ringrazie anche per i complimenti, fanno bene anche quelli!
Hai ragione, ci sono grossi traumi che non si possono facilmente legare ad un palloncino, affidarli al vento ed immaginare che continuino a vivere in un'atra dimensione. Il dolore umano intenso è difficile da metabolizzare col tempo ci vorrebbero più vite umane che purtroppo non abbiamo.
Come ricorda l'anonimo ( mia figlia ) "bisogna tenere cura delle proprie cose ed essere felici per quello che si ha, con la consapevolezza che non sarà eterno". Questo modo di prendere la vita aiuta moltissimo ad avere consopevolezza di essere umani, educati a vivere nel rispetto di se stessi e degli altri secondo un codice morale accettato e condiviso da tutti. Sì nell'uomo c'è poco spazio per i rimpianti, perciò bando alle recriminazioni e spazio assoluto alle positività della vita. Ce ne sono moltissime basta saperle riconoscere: C'E' SEMPRE UN BICCHIERE MEZZO PIENO !
Grazie bellissima!
Un bacio anche a te 
Utente: MsReveries
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MsReveries
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 01 Maggio 2011 - 17:43
#8
Sono anch'io un'ottimista e credo che il bicchiere sia sempre mezzo pieno.
Un abbraccio!
Utente: Kaliparthena
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Kaliparthena
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 11 Maggio 2011 - 11:33
#9
niente, non mi fa postare il video, non so perchè ma mi da errore.
http://www.youtube.com/watch?v=_j-8tn4nmow   **
clikkaci su...

utente anonimo
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 12 Maggio 2011 - 00:03
#10
Mio caro anonimo,
Grazie per questo bellissimo brano. L'ho gradito moltissimo. La musica è molto coinvolgente e quella bella voce calda ti distoglie a tal punto che non badi alla triste storia che sta raccontando.
E' proprio in tema con questo post.
Many thanks for the nice present
Just a hug
Cle
Utente: MsReveries
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MsReveries
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** Il video dedicatomi 

lunedì 16 aprile 2012

PITTA RUSTICA SALENTINA


Castrignano dei Greci. Pitta rustica: 

cuore saporito del Salento 

immagine da GOOGLE

Il cuore saporito del Salento

Quando giunsi in Salento, malgrado l'affetto e il calore umano che mi circondava, mi era molto difficile sentirmi una salentina. Conoscevo bene tre lingue ma non riuscivo a dialogare con loro. Adesso le cose vanno meglio, ma sono sempre una forestiera, capisco bene la "lingua" ma non la parlo. Questo perchè, come dice una mia amica siciliana che vive qui come me da tantissimo tempo, è perchè non siamo riconosciuti salentini a tutti gli effetti e non lo saremo mai. Proveniamo da un'altra terra e la nostra personalità è già decisamente affermata. Cioè i nostri gusti, le nostre basi culturali insieme a tutte le conoscenze acquisite e maturate in noi ci rendono diversi. Siamo stranieri!
I fatti culturali di questa parte dell'Italia hanno una origine gelosamente conservata, attingono ad una tradizione antichissima e di varia derivazione; qui sono presenti retaggi storici-culturali greci, arabi, latini e più recenti spagnoli, francesi e inglesi. Tutti sono fusi e messi insieme, e si adattano a meraviglia alla loro personalità: disponibile, accogliente e gentile, ma sono sempre un po' diffidenti e riservati allo stesso tempo. Il loro modo di essere, fino a qualche anno fa, era per me difficile da comprendere. Ho studiato la loro "lingua" con le moderne tecniche linguistiche. Ho letto i classici in vernacolo, ho ascoltato canti e mi sono fatta insegnare gli etimi e la sintassi ma non posso dire di essere leccese. Molti termini usati qui da tutti con disinvoltura, sono andati perduti negli altri dialetti e in italiano. Per esempio, la parola "pitta" (quella della pizza rustica di cui al titolo del post) deriva da "picta", cioè pittata, dipinta. Al suo nascere, infatti, era una focaccia con disegni sulla superficie.
Preparata in particolari festività in epoche preistoriche dagli abitanti di questi luoghi per ingraziarsi gli dei e le divinità di allora.Fino a poco tempo fa, e io l'ho vista ancora cuocere da donne abili e molto legate alle antiche usanze, veniva cucinata nel forno di campagna. Uno speciale coperchio di ferro, o anche di coccio, su cui veniva messa la brace controllata costantemente, posto sulla teglia ben salda su un treppiedi con sotto la brace. Venivano cotti così anche biscotti e taralli squisitissimi.Ci sono due tipi di pitta, quella dolce e quella salata rustica con molteplici variazioni. Perciò, all'inizio, ho avuto dei problemi di comunicazione, principalmente di natura linguistica.
Qualcuno elogiando la bontà di un mio rustico di altre tradizioni (p.e. il gatò napoletano), chiamandolo pitta, aveva l'abilità di mandarmi letteralmente in tilt chiedendomi la ricetta di quella buonissima "pitta con il prosciutto e il salame" che aveva mangiato da me. Se qualcun altro aveva parlato prima di una torta "pasticciotto" (altra specialità dolce locale rinomatissima) chiamandola anche "pitta", io ero letteralmente in orbita.Ecco come viene preparata quella squisita focaccia che i turisti ricordano benissimo. Proprio per loro è la mia ricetta, che poi è quella della tradizione.E' in due varianti: quella con le verdure e quella col tonno in scatola.
Quella con le verdure è la più antica, di queste la più gustosa è quella "cu la paparina", pianta dello spontaneo papavero di campo, che è un po' difficile da trovare.

GLI INGREDIENTI:

  • gr. 400 di semola di grano duro
  • 1 cubetto di lievito di birra che scioglierete al momento in una ciotola con un po' d'acqua
  • 3 cipolle grosse e fresche, preferibilmente quelle  bianche e schiacciate
  • gr. 300 di pomodori maturi pelati (freschi o conservati)
  • gr. 50 di capperi ( meglio sotto sale e sciacquati in acqua fresca prima dell'uso)
  • gr.200 di olive nere snocciolate
  • gr. 200 di tonno sott'olio. (se ritenete di non poterlo mangiare, potreste usare anche delle verdure, le miste di campo, per esempio, oppure le biete o la scarola, prima vanno scottate in acqua bollente e poi saltate in padella con olio e uno spicchio d'aglio che toglierete)
  • un po' di prezzemolo, se lo gradite, e una foglia di alloro
  • sale, pepe, olio extravergine d'oliva q.b.

PREPARAZIONE:

Impastare la farina con il lievito diluito e un altro poco di acqua non molto calda, aggiungere dell'altra acqua salata. Fate attenzione, mi raccomando, a separare il sale dal lievito altrimenti viene compromessa la lievitazione.Lavorate l'impasto molto bene: tutto deve essere ben amalgamato, abbastanza morbido e compatto.
Mettetelo in un recipiente largo e alto (io uso un tegame medio, dovrebbe contenere il doppio del volume dell'impasto), copritelo con un coperchio o la pellicola trasparente e lasciatelo riposare al caldo per circa un'ora (meglio nel forno che avrete riscaldato a 100 gradi e poi spento prima di infilare il recipiente con l'impasto).

Procedete ora con la farcitura della "pitta":

  • in una padella fate soffriggere le cipolle tagliate a fettine sottilissime, quasi evanescenti, con la foglia di alloro che toglierete alla fine;
  • quando la cipolla sarà imbiondita, aggiungete i pomodori che avrete tagliato a pezzetti, e lasciate cuocere dolcemente.
  •  A fine cottura aggiungete i capperi dissalati (che avrete sciacquato in acqua), il tonno sbriciolato (o le verdure se non gradite il tonno) e una spolveratina di pepe se lo desiderate.
  • Aggiustate di sale e lasciate raffreddare.
  • Foderate una teglia con carta forno, o mettete direttamente dell'olio nella teglia  ungetela abbondantemente, non siate avari con l'olio, mi raccomando.
  • Intanto l'impasto sarà lievitato, avrà raddoppiato il suo volume.Dividetelo in due parti non uguali. La grande servirà come base della focaccia e la piccola la ricoprirà. Un suggerimento per non impiastricciarvi le mani di pasta ungetevele  d'olio per facilitare tutta l'operazione.
  • Stendete la pasta o con il matterello oppure schiacciatela con le mani, foderate il fondo e i bordi, con  la forchetta punzecchiate la base, questo servirà ad evitare le bolle d'aria che a volte si formano. 
  • Inserire la farcitura ormai tiepida distribuendola uniformemente, aggiungere le olive nere snocciolate distribuendole uniformemente.
  • Con l'altra parte dell'impasto formare un disco piuttosto sottile e ricoprire il tutto, sigillando il tutto con la pasta dei bordi schiacciandola con la forchetta, oppure pizzicando i due lembi. 
  • Sempre coi rebbi della forchetta. punzecchiando  tutta la superficie, fate dei disegni, per esempio se la teglia è tonda realizzate dei cerchi concentrici o una spirale, avrete anche voi così una "picta" come quelle antiche e ci sarà anche la possibilità di una buona evaporazione durante la cottura. (in gergo: "farà da cumignolo" e per renderla più colorata ungetela ben bene con dell'oliol.
Avrete già preriscaldato il forno al massimo (forno possibilmente non ventilato).

Lasciate cuocere a 200° per più di tre quarti d'ora, forse un'ora, dipende dal tipo di forno che avete. Mi raccomando sorvegliatela ogni tanto come fate con le altre focacce.

E' pronta quando si è staccata dai bordi e ha assunto un colore dorato e l'aspetto che ha nella foto ma anche un po' più morbida.

    venerdì 6 aprile 2012

    ... PASQUA

    Immagine da google qui

    ... è semplicemente 
    Pasqua!!!
    Tanti, tanti auguri 
    a tutti!!!


    I've always imagined  a world like that,
    Full of goodness and peace
    in harmony with nature.
    Let's work together for that .

    martedì 3 aprile 2012

    IL TEMPO E LA CONTEMPORANEITA'

    AS TIME GOES BY




    Molto spesso mi soffermo a riflettere sul tempo, cioè come venga considerato da noi uomini e come ci vincoli alla società, alle mode e alle politiche che si susseguono e quanta confusione imperi nel nostro tempo.
    Avendo a disposizione dei modelli standardizzati, ormai cliché formulati e codificati dal "buon senso", o "common sense" anglosassone, fino agli anni sessanta per la gente comune non ci sono stati problemi per come comportarsi nella società. Si era sicuramente un po' piatti, ingrigiti e fondamentalmente privi di personalità, ma forse più rassegnati alla sopportazione. 
    Fino alla rivoluzione culturale del '68 ci avevano pensato gli altri dall'alto della loro sapienza o della loro potenza a dirci cosa fare. In tutto il mondo “civile” si erano sempre seguiti degli stereotipi da imitare nelle varie occasioni della vita. Un bell’esempio è quello della grande regina Vittoria che in Inghilterra aveva fatto redigere e distribuire ad ogni famiglia del suo regno un libriccino,” Il Manuale delle Buone Maniere”, in cui per ogni occasione c’era la giusta etichetta da seguire per non essere considerate persone incivili. Come ci si doveva vestire, parlare o anche guardare e principalmente quale era l'età giusta consentita per affrontare ogni esperienza.
    Va considerato, però, il periodo storico: imperava il ”credere e obbedire” e le cose era meglio che funzionassero così. Sicuramente con molta ipocrisia ma non si può nascondere che era un bell’apparire.

    In Italia c’era stato molto tempo prima Monsignor Giovanni Della Casa famosissimo e noto soprattutto come autore del manuale di belle maniere "Galateo" (scritto probabilmente dopo il 1551 ma pubblicato postumo nel 1558), che fin dalla pubblicazione godette sempre di grande successo. Considerate, però, l'indice di alfabetizzazione di quel tempo e vi farete un'idea di quanto la società aveva potuto trarne vantaggio.
    Ognuno tra le persone colte e stimate sapeva a quale stereotipo appartenere e come comportarsi nel relazionarsi con tutti, ma soprattutto quando era finita un'età e ne era cominciata un'altra. Cioè a quale età incominciare e a quale età finire.
    Quindi, oltre che nel lavoro anche nella vita sociale si sapeva mirare e prospettare il ruolo a cui appartenere. Gli uomini sapevano a quale età essere punto di riferimento sociale e quando passare alla storia anche se ancora vivi.
    C’erano anche le eccezioni, perché no, ma quelli che avevano già dato erano la maggioranza. Le donne, purtroppo sapevano a quale età dover prendere marito o entrare in società etc. e principalmente a non essere mai la” pietra dello scandalo” per non far fare brutta figura.
    Molto triste e frustrante davvero! 
    Ora c'è sempre qualcuno in rete, sui rotocalchi, in TV che si affanna a divulgare come comportarsi o non comportarsi in certe occasioni, non so quanto venga ascoltato vista la cafonaggine che impera ovunque. Ma non c'è nessuno che si sforza di raccomandare che il tempo passa e che solo per i vini è valido l'invecchiamento che migliora la qualità, anzi sembra quasi che si aspetti l'invecchiamento dei giovani per migliorare la società.!?




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    p.s.:  Scusatemi,
    se avete gradito questo post e ne siete convinti, perchè non votarmi, anche questo post è su oknotizie.virgilio.it:
    Ve ne sono veramente molto grata,
    GRAZIE!!!