ovvero "Galletto", il personaggio più presente nella mia prima infanzia. Fiaba della tradizione popolare narrata in tutto il meridione d'Italia e inserita da G.B. Basile nel suo Pentamerone.
L'ho ascoltata in molti dialetti e da persone che non dimenticherò mai, e sì mi sarà proprio difficile dimenticare Vardiello.
Ecco il testo pubblicato su http//pinu.it, integralmente e che secondome è il più vicino a quello recitato da V. DeSica nel video
Vardiello
Grannonia d’Aprano fu donna di gran giudizio, ma aveva un figlio, chiamato Vardiello, il più scempiato semplicione di quel paese. E nondimeno, perché gli occhi della mamma sono stregati e travedono, essa gli portava un amore sviscerato, e se lo covava sempre e lisciava, come se fosse la più bella creatura del mondo.
Aveva questa Grannonia una chioccia e sperava di ottenerne una bella schiusa di pulcini e ricavarne buon profitto. E un giorno, dovendo allontanarsi per una faccenda, disse al figlio:
- Figlio bello di mamma tua, vieni qua, ascolta, abbi gli occhi su questa chioccia e, se si leva a beccare, bada a farla tornare al nido, altrimenti le uova si raffreddano e tu non avrai né cocchi né pulcini.
- Lascia fare a quest’uomo – rispose Vardiello – perché non hai parlato a sordo.
- Ancora – soggiunse la mamma – vedi figlio benedetto, che dentro quell’armadio c’è un vaso verniciato con certa roba velenosa. Guarda che il Tentatore non ti mettesse in capo d’andarla a toccare, perché tu stenderesti i piedi!
- Non sia mai! – rispose Vardiello – veleno non mi pigli! E tu savia con la testa pazza, che me lo hai avvisato; perché, veramente, potevo capitarci, e non c’era né spina né osso che m’impedisse di farlo scendere nello stomaco.
Volte che ebbe le spalle la mamma, rimase Vardiello, il quale, per non perder tempo, andò nell’orto a scavare certi fossetti coperti di fuscelli e terra da farvi cader dentro i fanciulli; quando, nel meglio del lavoro, s’accorse che la chioccia se n’andava passeggiando fuori della camera.
Ed egli subito a gridare: - Sciò, sciò, via di qua, passa là! – Ma la chioccia non si ritirava; e Vardiello, vedendo che la gallina aveva dell’asino, dopo lo “sciò sciò” si mise a battere i piedi; dopo lo sbattimento dei piedi, a gettarle dietro il suo berretto; e dopo il berretto, le scagliò un matterello, che, colpitala in pieno, la fece cadere in agonia e irrigidire le zampe.
La mala disgrazia era ormai avvenuta e Vardiello pensò di portar rimedio al danno, onde, facendo di necessità virtù, affinché le uova non si raffreddassero, si sbracò subito e si sedette sulla covata; ma, premendola col deretano, la ridusse a frittata.
Visto che egli l’aveva fatta doppia di figura, fu sul punto di dar la testa nelle mura. Ma, poiché infine ogni dolore torna a boccone, sentendo uno sfinimento allo stomaco, si risolse a cacciarvi dentro la chioccia. E perciò, spiumatala e infilzatala a un bello spiedo, accese un gran fuoco e cominciò ad arrostirla; e quando vide che era quasi cotta, affinché tutto fosse pronto a tempo, stese un bel canovaccio di bucato sopra un vecchio cassone e, preso un orciuolo, scese in cantina a spillare un caratello di vino.
Ma, nel meglio del versare il vino, udì un rumore, un fracasso, uno scompiglio per la casa, che pareva un passaggio di cavalli armati; e, tutto sbigottito, voltati gli occhi, scorse un gattone che aveva arraffato la chioccia con tutto lo spiedo, e un altro gatto gli era dietro, gridando per aver la sua parte.
Vardiello, per impedire questo danno, si lanciò come leone scatenato sul gatto; e, per la fretta, lasciò sturato il caratello.
Dopo aver giocato a “corrimi dietro” per tutti gli angoli della casa, ricuperò la gallina; ma intanto il vino del caratello scorse tutto a terra.
Tornando alla cantina e visto di averla fatta grossa, anch’esso la botte dell’anima dei cannelli si mise a piangere .
Ma, poiché il giudizio lo aiutava, per rimediare al danno, e per far che la madre non si avvedesse di tanta rovina, prese un sacco pieno pieno colmo colmo, raso raso di farina e lo andò spargendo sul bagnato.
Con tuttociò, facendo il conto sulle dita dei disastri accaduti, pensando che, per aver commesso eccessi di asineria, perdeva il giuoco della grazia di Grannonia, prese ferma risoluzione di non lasciarsi trovar vivo dalla madre. Tolse dunque dall’armadio il vaso con le noci conciate, che quella gli aveva detto esser veleno, e non ne levò la mano fintanto che non ne scoperse la patina lustra. E, riempitosi bene la pancia, si ficcò dentro il forno.
Intanto, tornò la madre e, dopo aver picchiato per un pezzo, non sentendo alcuno muoversi, dette un calcio alla porta ed entrò. E si mise a chiamare a gran voce il figlio; e, poiché nessuno rispondeva, immaginò una disgrazia, e, crescendo l’ambascia, levò forti le grida:
- O Vardiello, o Vardiello, sei diventato sordo che non odi? la malattia alle gambe o alla bocca che non rispondi? Dove sei, viso da forca? Dove sei squagliato, mala razza? Che ti avessi affogato in fasce quando ti feci! –
Vardiello, che udì questo grido, finalmente, con una vocina pietosa, disse:
- Eccomi qui, sto dentro al forno, e non mi vedrete più, mamma mia! –
- Perché? – domandò la povera madre.
- Perchè mi sono avvelenato – replicò il figlio.
- Ohimè – soggiunse Grannonia – e come hai fatto? E che motivo hai avuto di fare quest’omicidio, e chi ti ha dato il veleno?
E Vardiello le raccontò a una a una, tutte le belle prove che aveva compiute, e per le quali voleva morire e non restare più al mondo bersaglio di mala fortuna.
Udendo queste cose, la madre scura si vide, amara si vide, ed ebbe da fare e da dire per levare di capo a Vardiello quell’umore malinconico. E poiché gli portava tenerezza grande, con dargli alcune altre cose sciroppate gli tolse dal cervello la paura delle noci conciate, che non erano veleno, ma acconciamento di stomaco. Così, calmatolo con buone parole, e fattegli mille carezzette, lo tirò fuori dal forno.
Pensò poi, per quietarlo del tutto, di affidargli una bella pezza di tela, affinché la portasse a vendere, ammonendolo di non trattare il negozio con persone di troppe parole.
Andava in giro con la sua mercanzia per le strade e le piazze di Napoli, gettando il grido:
- Tela, tela! – Ma, a tutti quelli che gli si avvicinavano domandando : - Che tela è? – subito rispondeva: - Non fai per la casa mia, che hai troppe parole. - E se un altro gli domandava: - A quanto la vendi? – lo chiamava chiacchierone, e che lo aveva stordito e gli aveva rotte le tempie.
In ultimo, scorgendo in un cortile di una casa, disabitata perché frequentata da uno spiritello, una statua di stucco, il poverino, spedato e stracco dal tanto andare in giro, si sedette sopra un muricciolo; e, non vedendo entrare e uscire nessuno da quella casa, che pareva un villaggio saccheggiato, pieno di meraviglia, disse alla statua:
-Di su, camerata, abita alcuno in questa casa? - E poiché quella non rispondeva, gli parve persona di poche parole, e subito le propose: - Vuoi comprare questa tela? – Io te la darò a buon mercato. –
E la statua zitto, e lui: - Affè, ho trovato quello che andavo cercando! Prendila e falla esaminare, e dammene il prezzo che ti piace: domani torno pei quattrini. –
Ciò detto, lasciò la tela sul muricciolo al quale s’era seduto; e il primo che si trovò a passare e che entrò in quel cortile…trovata quella bella ventura se la portò via.
Quando Vardiello fu tornato alla madre senza tela, ed ebbe raccontato il caso, la povera donna si sentì scoppiare il cuore. E cominciò a rimbrottarlo:
- Quando metterai il cervello a sesto? Vedi quante ne hai fatte? Ricordatene! Ma la colpa è, prima di tutto mia, per essere troppo tenera di cuore, non t’ho fin dal primo momento raddrizzato con una buona bastonatura: e ora m’avvedo che medico pietoso fa la piaga incurabile! Ma tante me ne hai fatte che alla fine c’incapperai: e allora i conti saranno lunghi! –
Vardiello dal canto suo badava a dire:
- Zitto, mamma mia, che non sarà quel che tu dici. Avrai ben altro che tornesi coniati nuovi! Credi forse che vengo da Salerno e che non sappia il conto mio? Ha da venir domani! Di qui a Belvedere non c’è molto, e vedrai che so mettere il manico a questa pala! –
Al mattino, quando le ombre della notte perseguitate dagli sbirri del sole sfrattano il paese, Vardiello si portò al cortile dove era la statua, e le parlò:
- Buon dì, messere! Non t’incomoda di darmi quei quattro spiccioli? Orsù, pagami la tela! –Ma poiché la statua se ne rimaneva muta, egli raccattò un sasso e lo scagliò di tutta forza proprio in mezzo allo sterno di quella, tanto che le ruppe una vena; e questa fu la salute della sua casa. Perché rotti certi ammassi d’intonaco, gli apparve agli occhi una pignatta piena di scudi d’oro, che egli levò con le sue mani e si diède a una corsa a scavezzacollo verso casa sua.
Entrò gridando: - Mamma, mamma, vedi quanti lupini rossi! Quanti neh! Quanti! –
Ma la madre, nell’accogliere la fortuna di quegli scudi così impensatamente guadagnati, riflettè subito che il figlio sarebbe andato a raccontare la cosa, e provvide al rischio.
Disse, dunque, a Vardiello, che si fosse messo innanzi alla porta per vedere quando passava il ricottaro, poiché le bisognava comprare un litro di latte.
Vardiello, che era un gran bonaccione, subito si sedette alla porta; e la madre, dalla finestra di sopra, gli fece grandinare addosso, per oltre mezz’ora, più di sei rotoli d’uva passa e di fichi secchi. Ed egli li raccoglieva gridando:
- Mamma, o mamma, prendi conche, porta tinozze, porgi canestri, che, se dura questa pioggia, ci faremo ricchi! – E quando se ne fu ben riempito il ventre, salì in camera e si buttò a dormire.
Avvenne che un giorno, litigando due del popolo, gente di malaffare, per la pretesa di uno scudo d’oro che avevano trovato a terra, capitò in quel punto Vardiello che disse:
- Come siete arciasini a far tante chiacchiere per un lupino rosso di questa sorta! Io non ne faccio neppure stima, perché ne ho trovato per mio conto una pignatta piena piena.! –
La Corte, informata del detto e messa in sospetto, lo mandò a chiamare e lo sottopose a processo per saper come, quando e con chi avesse trovato gli scudi di cui aveva parlato.
Vardiello rispose: - Li ho trovati in un palazzo, nel corpo di un uomo muto, in quel giorno che ci fu pioggia di uva passa e di fichi secchi. –
Il giudice che sentì questo parlare a vanvera, chiuse la causa e decretò che fosse mandato all'ospedale, che era il suo giudice competente.
Così, l’ignoranza del figlio fece ricca la madre, e il buon giudizio della madre riparò all’asinità del figlio, per la qual cosa si vede chiaramente che:
nave da buon pilota governata
è strano caso che si rompa a scoglio.
Illustrazione di Warwick Goble"
Qui troverete il testo originale de "lo cunto de li cunti" di g. b.Basile ne letteraturaitaliana.net Volume_6/t133
Riporto integralmente la recensione, molto chiara e completa sul Pentamerone di G. B. Basile, pubblicata su www. parados.it (http://www.parodos.it/news/basile.htm). da Raccolta di novelle di Giambattista Basile da cui è tratto il nostro "cunto"
"Pubblicata postuma con l'anagramma di Gian Alesio Abbatutis, l'opera ebbe anche il sottotitolo di Pentameròn o Lo trattenemiento de peccerille; è in dialetto napoletano, con inserite quattro egloghe, che sono altrettante satire: La coppella (gli uomini sono in realtà diversi da quel che paiono), La tenta (sferza l'ipocrisia), La vorpara (condanna l'avidità di guadagno), La stufa (le noie dei piaceri umani). Si racconta la storia di Zoza, principessa melanconica, che non ride mai: un giorno vede da una finestra un ragazzo litigare con una vecchia; questa fa a un certo momento un gesto così volgare e osceno, che la stessa Zoza si mette a ridere. La vecchia allora la maledice e le dice che non avrà più pace fino a che non sposerà il principe di Camporotondo; così la principessa si mette in viaggio con tre oggetti incantati e finalmente trova il principe, che è in catalessi, dentro una tomba con accanto un'anfora: solo se l'anfora si riempirà di lacrime, Zoza potrà svegliare il principe; ma a metà dell'opera Zoza si addormenta. Ne approfitta una schiava, che colma il vaso di lacrime: il principe si sveglia e la sposa. Grande è la disperazione di Zoza, la quale con l'aiuto di uno degli oggetti incantati riesce a infondere nella moglie del principe un incontenibile desiderio di sentire raccontare favole; vengono invitate alcune vecchie narratrici; l'ultimo giorno si presenta anche Zoza, la quale rivela la vera storia e riesce così a sposare il principe. Cinque sono le giornate delle favolatrici, ciascuna composta di dieci novelle. Considerata dai fratelli Grimm una bella raccolta di favole, il Pentameròn è la vera espressione della voce del popolo. Si ispira evidentemente alla raccolta di novelle (Decameron) di Boccaccio, ma con alcune differenze: le giornate sono la metà (5 anziché 10) e ridotto alla metà è anche il numero delle novelle (50 anziché 100, tra cui 49 raccontate dalle narratrici più 1 che fa da cornice alla storia); i narratori sono dieci vecchiette caratterizzate da difetti fisici (Zeza è sciancata, Cecca storta, Meneca gozzuta, Tolla nasuta, Popa gobba, Antonella bavosa, ecc.).
Più che novelle, le storie narrate da Basile sono fiabe tratte in genere dalla tradizione popolare, che l'autore trasforma però in prodotti letterari, con l'uso di un dialetto più colto di quello effettivamente parlato e con l'inserimento di notazioni ironiche e commenti moralistici.Infine la scelta di scrivere in lingua napoletana corrisponde alla tendenza propria dell'età barocca di sperimentare nuovi e più attuali modi espressivi."Se si vuole completare il discorso su G. B. Basile e saperne di più, qui c'è tutto il discorso critico interessantissimo scritto da Michele Rack .
Interessante e divertente. Perle che rischiano di andar perdute per sempre. Grazie.
RispondiElimina...è verissimo!
RispondiEliminaNessuno racconta del nostro passato e stiamo perdendo la bellezza del nostro patrimonio linguistico!
Grazie a te, mio caro Uriel!
Ti abbraccio e ti auguro uno splendido mese di settembre!
Bé, su titolo e morale bisognerebbe chiedere cosa ne pensa un noto comandante che un annetto fa' combinò purtroppo un disastro mortale facendo infrangere la nave da crociera proprio sugli scogli... devo dire chi è?
RispondiEliminaIl racconto è molto simpatico, della classica saggezza popolare :-) Non lo conoscevo... se non ci fossi tu a ritirare fuori queste perle... ! ;-)
www.wolfghost.com
Sì, un certo noto Vardiello, forse nonaveva capito niente del suo ruolo, forse pensava di avere anche lui una Grannonia magari contava su una soluzione che gli venisse dal cielo!
EliminaGrazie, è uno dei più graditi complimenti!
Sì, sono perle, vere perle che fanno parte della mia formazione e cultura. Con le mie sorelle, Vardiello era il simbolo della scempiaggine umana, l'imbranato per antonomasia, e tutte le volte che qualcuna di noi faceva una scemata la si chiamava scherzosamente come il protagonista di questo racconto.
Poi l'ho incontrato da universitaria nel corso di letteratura italiana, così ho il dovere di contribuire a far conoscere questi fatti che sono le fondamenta della nostra storia e del nostro patrimonio culturale.
Ti abbraccio e...buona ripresa!!!
Ciao Cle, grazie per gli auguri,
RispondiEliminaper il post a quest'ora è troppo lungo da leggere, faccio il possibile per ripassare.
Ciao un sorriso e buona settimana.
Magda
Sei molto gentile, mi fa molto piacere che tu sia passata da me.
EliminaSiamo due nonne e penso che l'argomento di questo post ti possa interessare. Le favole erano il pezzo forte delle nonne di un tempo, a me piace passarle anche sul web dove anche i bambini le possano leggere sui loro tablet!
Ciao tanti sorrisi e buona settimana anche a te!!!!
Dearest Cle,
RispondiEliminaThis was so interesting and I am sure chilren Would appreciate its reading or lstenning to it told by a dearest one!
Wish You a sunny bright week!
A big hug
Thanks, my darling!
EliminaMy aim is just that, we must protect our history and telling fables may be done on the web too!!!
Enjoy your sunny week!!!
kisses and hugs!!!
Sei strepitosa!
RispondiElimina... Lo accetto, anche se so di non meritarlo ;-).
EliminaStrepitosa è la nostra storia e la sua splendida e insuperabile letteratura :-D !
Grazie e splendida giornata!!!